Di artisti a Peschiera ne abbiamo sempre visti tanti, ma con l’avvento di Nerone, giovane rapper famoso in tutta Italia, arriva anche una ventata di aria fresca. Trasferitosi a San Bovio da pochi mesi, Massimiliano Figlia, classe 1991, ha subito suscitato la curiosità di moltissimi ragazzi della zona facendosi vedere con i suoi amici tra le strade del quartiere. Conosciamolo meglio.
La prima domanda è doverosa, come mai hai scelto proprio San Bovio per vivere?
«Perché ci abita il mio migliore amico. Doveva essere una situazione temporanea che però sta andando per le lunghe. In ogni caso, seppure sia una fase transitoria, qui mi trovo molto bene. Poi intorno ci sono artisti che conosco e stimo molto, mi vengono in mente Kuno di Peschiera e Jack the Smoker di Pioltello di cui sono sempre stato un grande fan».
Partiamo dagli albori, come ti sei approcciato alla musica in generale e poi, ovviamente, al rap?
«A casa mia si è sempre ascoltata molta musica. Mio padre seguiva la scena elettronica e quando è uscito “The fat of the land” dei Prodigy ho capito che quella poteva essere la mia strada, rap e musica elettronica. Poi ho iniziato ad ascoltare i cantanti americani che in quel periodo stavano davvero dando una svolta alla scena mondiale. Era l’epoca dell’esplosione di 50 Cent, per intenderci. Alle superiori poi sono entrato nel mondo del rap italiano e non ne sono più uscito. È stato allora che mi sono innamorato dello street rap e dei Club Dogo, per dire il nome di un gruppo che in quegli anni ha cambiato davvero le cose».
Possiamo quindi dire che gli artisti a cui ti sei più ispirato sono i Club Dogo?
«In realtà la fonte della mia ispirazione cambia di continuo. Cerco di non prendere troppo dalla scena italiana come fa la maggior parte delle persone, perché poi si sente tanto nei dischi. D’altronde è sempre stato così, dopo i Club Dogo hanno tutti iniziato a rappare come loro e la stessa cosa è successa anche con Emis Killah e Sfera Ebbasta. Io ho sempre guardato agli stranieri per non rischiare di conformarmi a certi stili quasi imposti. Poi è chiaro che se lavori bene la gente prenda esempio da te ma in questo momento non ci serve la copia della copia».  
Quando hai iniziato a cantare?
«A metà degli anni Duemila ho iniziato a frequentare le jam e a seguire le sfide freestyle. In più, per noi che non venivamo dal centro, la scuola è stata una vera palestra di vita, un insieme di culture ed estrazioni sociali diverse dove dar sfogo ai nostri interessi. In zona Mecenate, dove abitavo, eravamo davvero in due, io e il mio socio di allora, a fare rap e nessuno ci filava, allora ci siamo messi a sperimentare, arrangiandoci come potevamo. Poi il mio amico ha imboccato un’altra strada e io ho iniziato a usare quello che era il suo nome da writer, Nerone».
Parlami un po’ delle sfide freestyle che ti hanno fatto entrare nel giro.
«Ho partecipato a tantissime edizioni del Tecniche Perfette, celebre show di battaglie tra rapper. C’erano ragazzi che venivano da tutta Italia e artisti che poi hanno fatto strada come Moreno e Fedez. All’inizio mi limitavo a guardare e solo dopo aver fatto un po’ di esperienza come animatore nei villaggi turistici ho capito di avere il coraggio per esibirmi in una vera sfida. Poi il Tecniche Perfette si è evoluto in un programma che andava in onda su Mtv, si chiamava Spit ed è durato 3 anni prima che il pubblico perdesse interesse. Io ho vinto l’ultima edizione ed è stata davvero una gran figata».
Veniamo al salto di qualità, al primo successo. Come è arrivato?
«Dopo la prima edizione di Spit, dove ho perso in finale. A quel punto ero sull’onda e ho fatto uscire un Ep che si chiamava Numero Zero e che includeva un brano che avevo registrato con Nitro, rapper di nota fama, e che è ancora considerato un successo. A quel punto, nonostante avessi ricevuto offerte importanti, ho preferito continuare con la gavetta fino al primo contratto serio del 2014 finalizzato alla produzione di un altro disco, 100 K. Da li in poi è stata una lunga maturazione artistica che continua ancora».         
Quando hai avuto la prova che eri sulla strada giusta?
«Quando ho inciso Papparapà con Gemitaiz e Salmo. La collaborazione con due personalità così importanti è stato l’attestato di credibilità che aspettavo».
Dammi i nomi di artisti americani e italiani che segui attualmente con particolare interesse.
«Per quanto riguarda la scena Usa ti dico Kevin Gates, oltre ai mostri sacri Drake e Lil’ Wayne. In Italia sto seguendo Mauro Bizzie e Hosawa, due giovani originali di grande talento. A Milano poi ci sono gli Equipe, dei ragazzi che spaccano parecchio».
Che rapporto hai con la musica trap?
«Buono, mi piace e la ascolto. Chi dice che non c’entra niente col rap sbaglia e comunque io non ho mai fatto questo tipo di discriminazioni. Non credo sia una cosa furba anche perché la musica è libertà, tant’è che ho usato molte sonorità trap nell’ultimo album. Io comunque non mi precludo niente».
Come ti vedi tra dieci anni?
«Può succedere di tutto e ho capito che certe cose non si possono prevedere. So che canterò finché proverò divertimento nel farlo. Per ora mi concentro su un nuovo album di cui ho già dei brani pronti, ma non posso anticipare niente. Non so ancora i tempi ma sarà un disco che rappresenta in pieno il mio estro e la mia sregolatezza».
Mattia Rigodanza