2018-04-20

Sabato 28 aprile allo Spazio Ligera di via Padova, a Milano, la musica più estrema, il vero punk hardcore, quello ruvido che può essere autodistruttivo e rivendicativo, tornerà a gridare per le strade, e forse, grazie a gruppi come i Rappresaglia, non aveva mai smesso di farlo. Il peschierese Maurizio Fusano, chitarra e voce, e il batterista Marco Cirino, residente da sempre a San Felice, sono il perfetto esempio di una generazione che non molla, a cui la musica è entrata nelle ossa portandoli ad esplorare mondi sonori sempre diversi, evolutivi e fuori dall’ordinario. I Rappresaglia hanno fatto la storia del punk rock italiano negli anni ’80, e hanno ancora moltissimo da dire.
Partiamo dagli albori. Come vi siete approcciati alla musica, e al punk rock in particolare?
F: «I Rappresaglia nascono nel 1982, nel pieno della seconda ondata punk, quella più hardcore. Ho fondato il gruppo negli anni, quando molte band stavano lasciando la musica dei Clash e dei Sex Pistols per evolversi in qualcosa di più veloce e aggressivo».
C: «Io sono entrato nella band 3 anni dopo e ci sono rimasto per un breve periodo prima d’intraprendere un viaggio musicale che mi ha portato a suonare di tutto, dal blues al reggae, con i Ritmo Tribale, con i Tiratura Limitata, con gli Investigators, con i Kanipomisi e tanti altri. Ora sono tornato da 3 anni e, a differenza della prima volta, che dovevo solo supplire a una mancanza artistica, l’ho fatto per restare».
Al di fuori del genere che suonate, cosa vi piace ascoltare?
C: «Ascolto davvero tantissima roba ma la curiosità mi ha portato a spaziare in ambiti diversi. I Clash restano il mio gruppo preferito, ma ho comunque sempre cercato di produrre cose che mi appartenessero veramente, con un messaggio preciso e originale. Solo così riesco a rimanere totalmente coinvolto in quello che faccio».
F: «Avendo iniziato nell’epoca d’oro del cantautorato, è ovvio che abbia sempre ascoltato un po’ di tutto ma, come diceva Marco, la ricerca di un contenuto totalmente mio è sempre stata fondamentale. Mi è sempre piaciuto il lato ribelle della musica e ho deciso di seguire quella strada. Poi, crescendo, cerchi sempre più la genuinità, e questo ti porta inevitabilmente a una certa evoluzione artistica».
Stiamo parlando di un’evoluzione che, secondo voi, una band punk deve attraversare per forza?
F: «Essere punk oggi significa essere una voce fuori dal coro, staccarsi dalle ideologie ed eventualmente anche dal passato. Uniformarsi ti porta a non fare più autocritica, e questo è profondamente deleterio per una crescita artistica. Una volta andavamo avanti come treni senza mettere in dubbio ciò che facevamo, mentre ora è importante farsi qualche domanda. Questa è evoluzione: mettere in gioco linguaggi diversi, mettersi alla prova. Non siamo mica da museo».
Marco, nei tuoi girovagare tra una realtà e un’altra, cos’è che hai sempre cercato?
«La condivisione e la sintonia. Lo stare bene insieme a volte ti fa superare anche delle divergenze artistiche. Suoniamo a livello professionistico da tanti anni e non stiamo insieme per fama o successo, anche perché il nostro genere non permette di sfondare ad altissimi livelli. Ciò che ci tiene insieme dal punto di vista umano, è quello che muove la nostra musica».
Ok, è giunto il momento di darmi due nomi. A chi vi ispirate?
C: «Sono un fan della musica quindi riconosco l’importanza assoluta anche di persone che non fanno il mio genere. Se devo dire dei batteristi dico Keith Moon degli Who, John Bonham, Topper Headon dei Clash e poi ho un debole per il batterista dei Police, Stewart Copeland. Nonostante la sua impostazione jazz tira veramente un sacco, un groove pazzesco».
F: «Johnny Rotten, che mi ha cambiato la vita, il cantante Jello Biafra dei Death Kennedys e Steve Jones e Mick Jones, rispettivamente Sex Pistols e Clash, per quanto riguarda la chitarra. Il mio stile è una miscela dei due, un misto di armonico e rock and roll».
Progetti in cantiere?
F: «Siamo molto soddisfatti di come è venuto l’ultimo disco che abbiamo prodotto, “Neurotik”, e ora stiamo pianificando i concerti. Speriamo che piaccia perché è un lavoro diverso dal solito, ma alla fine ce ne fregheremo della risposta del pubblico, l’importante è che piaccia a noi».
C: «Il concerto allo Spazio Ligera del sabato 28 aprile. Comunque vada questo progetto, per noi la cosa che conta è la genuinità e il fatto che il punk ti permette di offrire sempre un prodotto sincero».
Mattia Rigodanza