2019-12-20

Claudio Cecchetto, un uomo, una leggenda. Classe 1952, il suo nome è inesorabilmente legato al mondo dello spettacolo italiano da più di trent’anni e il suo preziosissimo contributo allo show business si traduce in nomi celebri come Jovanotti, Fiorello, Jerry Scotti, 883, Luca Laurenti, Fabio Volo, Sabrina Salerno e Leonardo Pieraccioni. Insomma, senza di lui noi italiani avremmo perso una buona parte di quei personaggi che ci hanno fatto ridere e cantare nelle ultime decadi. Settimana scorsa il produttore è stato insignito del premio Santa Chiara, patrona della televisione, onorificenza già attribuita in passato a personalità come Mike Bongiorno, Antonio Ricci, Carlo Conti e Paolo Mieli. «Claudio Cecchetto, oltre a essere stato uno straordinario protagonista e intrattenitore radio televisivo, creatore di Radio Deejay, la più importante radio privata italiana, è soprattutto il precursore degli attuali talent show, essendo che a lui e alla sua capacità dobbiamo l’esistenza di grandi e amati personaggi del mondo della musica e dello spettacolo», ha dichiarato Marco Palmisano, presidente del Club Santa Chiara.
Dagli inizi a TeleMilano ai festival di Sanremo, dal successo di “Gioca jouer”, diventato un vero e proprio tormentone, alle band italiane degli anni ’90, abbiamo ripercorso con lui le più importanti tappe di una vita straordinaria. «Sono sempre stato molto legato alla musica, fin da piccolissimo. Il mio sogno era quello di portare i dischi americani in Italia tramite nuovi formati e nuovi volti in grado di rivoluzionare la scena», ha raccontato il presentatore. «Ho iniziato lavorando nelle discoteche, ma la svolta televisiva è arrivata nel 1978 con TeleMilano, anche se sono finito nel radar di Mike Bongiorno già prima, quando al teatro Lirico ho presentato una serata di beneficenza per un’associazione animalista, serata in cui erano presenti osservatori di Mike. Da lì è iniziato tutto, le persone hanno cominciato a scommettere su di me e sono arrivate le prime conduzioni che mi hanno poi portato a calcare i palchi di Sanremo, a soli 29 anni, e del Festivalbar nel ’93». Un percorso lungo e difficile, fatto di gioie, dolori e, soprattutto, pezzi davvero intramontabili. «Devo proprio ammetterlo: mi sono fatto un gran mazzo, ma ho ricevuto in cambio tante soddisfazioni umane e professionali», ha spiegato Cecchetto. «Quando Mike mi ha parlato per la prima volta io non ci credevo, quasi non riuscivo ad ascoltarlo dall’emozione. Lui ha sempre voluto che lo seguissi alla conduzione di quiz televisivi, ma la moglie Daniela ha subito capito che la cosa non mi interessava e ha cercato di distogliere suo marito dall’intento. Comunque è grazie a lui che mi sono consacrato come showman». E poi la capacità a sua volta di scoprire talenti. «È vero, tanti nomi sono associati al mio, ma io non mi sono mai rivendicato una qualche proprietà su di loro, più una paternità affettiva. Con Max Pezzali, ad esempio, ho instaurato un’amicizia che ci lega ormai da 30 anni e che ci spinge a lavorare insieme quotidianamente. Ricordo ancora quando lo vidi insieme agli 883 per la prima volta: vennero da me con sei brani per produrre un album. Quando risposi loro che me ne servivano almeno otto mi dissero che ne avevano altri e che me li avrebbero mandati subito. Sparirono per due giorni per poi tornare da me con due pezzi famosissimi, “Con un deca” e “Questa casa non è un albergo”. Solo dopo molti anni Max mi confessò che non era vero che avevano quei pezzi pronti e che si chiusero in casa a Pavia per scriverli proprio in quei due giorni. Ma mi piace ricordare anche altre persone. Jerry Scotti è il numero uno, lo zio d’Italia, un presentatore top, oltre che un’ottima forchetta. Fiorello è un talento enorme, potrebbe essere tranquillamente il più grande showman del mondo, e lo dico dopo aver visto dei russi ridere a crepapelle alle sue battute in italiano. E poi c’è Jova, un personaggio unico, con lui ho scoperto quello che poi avrebbero scoperto tutti: un carattere dilagante, un uomo fantastico e un’artista senza eguali».
Insomma, a leggere tutti questi nomi viene da spalancare gli occhi e ad ascoltare le canzoni a cui Cecchetto ha contribuito viene la pelle d’oca. Da “Bella” di Jovanotti a “Gli anni” degli 883, da “People from Ibiza” di Sandy Marton a “50 special” dei Lunapop. «Un metodo per scrivere e produrre pezzi intramontabili non esiste», dichiara il creatore di Radio Deejay. «Il riscontro del pubblico deve essere immediato, la canzone non deve fermarsi alle orecchie, deve arrivare fino al cuore. La musica non deve essere consumata e basta, deve essere vissuta. Poi ci sono modi per coinvolgere le persone nell’amore per i pezzi che hanno segnato un’epoca. Con Max Pezzali, per esempio, abbiamo messo in piedi uno spettacolo a San Siro che coinvolgerà tutti, grandi e piccoli, e che farà cantare come fosse un karaoke. La prima data è già sold out e pochi giorni fa è uscita una seconda data. Si preannuncia un grande successo che aprirà la strada a un nuovo formato live. Poi il futuro è pieno di idee e talento. I nuovi mezzi di diffusione, come il web, non intaccheranno mai quelli tradizionali come la radio o la televisione, nonostante questi mezzi abbiano perso un po’ del loro carattere sperimentale. La verità è che ora non vedo personalità in grado di fare la storia dello spettacolo. Non credo ci saranno altri Fiorello o altri Jovanotti, quelli sono personaggi che vivono nell’epoca in cui sono nati ed è impossibile replicarli. Ci saranno cose nuove sicuramente, nuovi talenti da scoprire, come Alessandro Cattelan. Ecco, lui mi piace, è nato per stare nell’ambiente, farà vedere grandi cose».  
Mattia Rigodanza