2020-02-21

Venticinque anni di estrema dedizione e costanza, venticinque anni di lavoro incessante per garantire la sicurezza dei cittadini e per promuovere la prevenzione dei rischi e la lotta alle emergenze. Ma soprattutto venticinque anni di grande passione. Lui è Duilio Cavenago, presidente della protezione civile di Peschiera Borromeo, che da domani, abbandonerà la carica.
Come è maturata la decisione di non candidarsi più alla carica di presidente?
«Mi sembra sia arrivato il momento di fare un passo indietro e lasciare spazio ad altri colleghi e ai tanti giovani che compongono il nostro gruppo. Non mi sembra giusto fare il presidente a vita, anche per rispetto delle nuove leve che ogni giorno dimostrano grande passione e dedizione per quello che fanno».
Immagino che lascerà con un po’ di nostalgia...
«Sì e no. Venticinque anni sono un bel pezzo della vita di ognuno di noi, ma oggi l’associazione può benissimo camminare da sola. La struttura è ben organizzata, il personale è preparato e gli enti che ci finanziano garantiscono una buona copertura economica. Sono tranquillo».
Pensa di rimanere comunque nella famiglia della protezione civile?
«Certamente. Sarò felice di unirmi al gruppo scuole che porta le nostre attività negli istituti scolastici. Inoltre, penso che sia utile che io rimanga a disposizione per eventuali consigli o contatti, soprattutto ora che la macchina burocratico-amministrativa è diventata così complessa».
Cosa è cambiato da quando è entrato nell’organizzazione più di un quarto di secolo fa?
«Allora avevamo uno spirito volontaristico quasi incosciente. Volevamo fare tutto pensando di poter intervenire in ogni campo. Lentamente ci siamo professionalizzati e abbiamo sviluppato protocolli che ci permettono di agire in maggior sicurezza e dopo aver acquisito le giuste competenze».
Lei, invece, crede di essere cambiato a livello umano grazie a questa esperienza?
«Sono cambiato molto. Sono sempre stato una persona piuttosto schiva, non particolarmente adatta ai rapporti umani. Questo ambiente mi ha permesso di stringere legami davvero speciali che definirei familiari. Nella protezione civile non esistono cani sciolti, c’è solo un gruppo che lavora in totale sinergia. Questo mi ha permesso di instaurare ottimi rapporti sia dentro che fuori la nostra struttura. E anche con i cittadini ho potuto rapportarmi sentendomi utile al bene comune. Questo mi ha indubbiamente cambiato. Ho imparato a conoscere gli altri».
Se dovesse scegliere il momento più difficile, più duro, e quello invece che le ha regalato le gioie maggiori, quali sceglierebbe?
«In entrambi i casi opterei per il nostro intervento durante la guerra in Kosovo, un’esperienza di una potenza indescrivibile e di un valore umano che mi ha forgiato profondamente. All’epoca non ero molto pratico di lavori manuali e mi è stato affidato il compito di censire le persone che arrivavano nei campi profughi al confine con l’Albania. Così, ho passato intere giornate a girare per le tende sovraffollate scortato dalle forze di polizia albanesi che prevenivano violenze tra diverse fazioni o verso donne rimaste sole. Ho avuto a che fare con la fame, con epidemie e condizioni di vita disumane. Ricordo quel periodo con estrema fatica, ma credo che mi abbia donato una consapevolezza speciale. E poi vorrei rammentare il nostro intervento in via Lomellina, dopo il crollo di una palazzina avvenuto nel 2006. Ricordo il volto di una donna a cui era appena stato comunicato che suo figlio era morto. Immagini indelebili. I momenti duri sono stati tanti anche qui a Peschiera. Abbiamo dovuto arginare grossi rischi idrogeologici nei primi anni 2000, ma siamo sempre stati all’altezza».
Immagino, però, che ci siano anche tantissimi momenti belli da raccontare...
«Assolutamente sì, gli aneddoti divertenti sono tanti. Ricordo sempre con piacere quando siamo intervenuti per salvare una villetta durante un’inondazione in Valtellina. Il proprietario, che aveva un salumificio, per ringraziarci ci ha offerto pane e salame tutta la sera, mentre altri residenti della zona raccoglievano bellissime pietre di fiume per costruirsi muretti nei loro giardini. Una situazione divertente nella sua tragicità. Poi, ovviamente, ci sono loro, i bambini, che, quando andiamo a tenere le lezioni nelle scuole, le provano tutte per tenerci lì e saltare le lezioni didattiche. Arrivano a farci domande assurde, del tipo: “Come facciamo se dovessero rapirci gli alieni?”. I bambini sono davvero sorprendenti, sanno davvero lasciarti a bocca aperta con interventi arguti e puntuali nella loro fantasiosità».
Cambiando discorso, i rapporti con le amministrazioni come sono stati in questi anni?
«Ottimi. Quando siamo nati, nei primi anni ’90, una legge dello Stato disponeva l’obbligo per ogni Comune di dotarsi di un organo di protezione civile. Noi abbiamo pensato che fosse giusto non scaricare questa responsabilità sulle istituzioni e ci siamo incaricati di questa iniziativa. Così sono nati i volontari, totalmente liberi e autonomi seppur appoggiati in toto da tutte le giunte, anche con atti pratici come la fornitura di uno spazio adeguato».
C’è qualcuno che vorrebbe ringraziare in particolar modo dopo tutto questo tempo?
«Tutti i volontari che sono passati di qui, compresi i 65 che ci sono adesso e che rendono la nostra protezione civile un’eccellenza del nostro territorio, in grado di avere un’impostazione non improvvisata, al passo coi tempi nei protocolli, aggiornata nelle dinamiche di sicurezza. Ovviamente ringrazio, anche, tutti i peschieresi che ci hanno appoggiato in questi anni». E la nostalgia la si intravede eccome nei suoi occhi.
Mattia Rigodanza