2022-03-11

Noi ucraini non diciamo che oggi è il 4 marzo, ma che è il nono giorno di guerra». Inizia con queste parole la mia intervista a Olga, una ragazza ucraina che tra qualche giorno compirà 19 anni, tre dei quali vissuti in Italia. Da qui, dal suo appartamento di Pioltello, in cui vive con i suoi genitori e sua sorella minore, guarda con dolore la guerra che dal 24 febbraio ha colpito il suo Paese. Ogni giorno sente al telefono le sue nonne, che non vogliono lasciare la loro casa, i suoi cugini, i familiari, gli amici, che non possono abbandonare l’Ucraina per una possibile chiamata alle armi e hanno paura, ma nello stesso tempo vogliono restare per difendere la loro casa. «Spero che finisca tutto presto, voglio tornare a casa quest’estate, voglio mangiare il mio piatto preferito, voglio riabbracciare tutti» dice con la voce rotta dal pianto.
Il racconto di Olga è di quelli che una ragazza non dovrebbe mai fare, che nessuno dovrebbe mai sentire. Eppure, eccoci qui, sedute una davanti all’altra davanti al tavolino di un fast food. Un anno fa, proprio di questi tempi, iniziavamo insieme un percorso decisamente diverso, quello del bel progetto di educazione civica e educazione al giornalismo di inFolio, Giovani & Giornalismo, a cui Olga ha partecipato insieme alla sua classe del Machiavelli di Pioltello: quel percorso era stato pura resistenza, nei confronti della pandemia, un progetto nato dalle ceneri di un anno difficile per tutti, per i ragazzi ancora di più. E anche oggi siamo qui a resistere ancora, con un nemico ancora più spietato e folle.
«Stiamo vivendo un incubo» prosegue Olga. «Il 20 febbraio mi sono svegliata alle 6.38, lo ricordo benissimo, e ho ricevuto tantissime notifiche di amici e parenti, che dicevano che la Russia aveva già attaccato. Anche la mia città, Ivano-Frankivsk, a ovest, perché abbiamo, anzi avevamo ormai, un punto strategico militare». Dove abitano familiari e amici di Olga, ora la situazione sembra essersi tranquillizzata, anche se ancora a volte si sentono suonare le sirene e, specie i primi giorni, le persone correvano a nascondersi nelle cantine o nei sottoscala. La paura è tanta, ma il pensiero di Olga corre al coraggio del suo popolo: «In questo periodo ho avuto la prova che noi ucraini siamo una forza, siamo uniti, anche quelli che non sono li, quelli che sono qui in Italia per esempio: stiamo raccogliendo beni di prima necessità, medicinali, soldi, che vanno al confine con l’Ucraina, perché nessuno può entrare o uscire, tranne donne e bambini».
Ormai sono all’ordine del giorno le immagini della separazioni dei papà dai loro bambini e dalle loro mogli e chiedo a Olga se è vero che gli uomini sono chiamati alle armi, perché mi sembra impossibile, mi sembra qualcosa che appartiene ai libri di storia. E invece no: «Per ora solo uomini che hanno esperienza militare, ma ho sentito dire che Zelensky ha firmato per chiamare alle armi anche civili».
E se il 4 marzo era il giorno delle prime trattative, del sogno dei corridoi militari per mettere in salvo i civili, a una settimana di distanza le cose non sono molto diverse: in Ucraina si continua a morire e la trattativa non ha spento le bombe.
«Non capisco perché nel 2022 ci sia questa modalità» commenta Olga, dando voce alla domanda che ci facciamo tutti. «Viviamo in questo mondo, con la tecnologia, non capisco perché devono morire civili, i bambini. Le mie giornate, anche se sono qui, sono tutte concentrare su quello che sta accedendo lì: mi sveglio e leggo le notizie, vado a scuola e nell’intervallo leggo le notizie, torno a casa e guardo il telegiornale e quando tornano i miei genitori parliamo sempre con le mie nonne, che sono in panico, proprio ora che hanno tutto, hanno la loro casa e sarebbe il momento di vivere tranquille». Non vogliono venire qui, chiedo? E mentre mi risponde di no, mi rendo conto di quanto sia sciocca la domanda: chi a 70 anni, lascerebbe il posto che chiama casa?
L’intervista va avanti, Olga mi racconta di quanto le manca la sua città,  del suo piatto preferito, il borsh, una zuppa di barbabietole e carote, della sua vita, di tantissime altre cose, ma soprattutto della speranza che tutto finisca presto: «Non so se è bene o male, ma sono ottimista, penso che vinceremo, con tutte queste forze, con tutto questo supporto, secondo me la guerra finirà presto».
Durante Giovani & Giornalismo, a  Olga ho insegnato un pochino di quello che ho imparato facendo la giornalista. Quando la saluto e la vedo allontanarsi, mi rendo conto di non aver rispettato neanche una delle regole che un buon reporter dovrebbe conoscere, che le regole non valgono più davanti a una guerra e che questa non è nemmeno una vera intervista. Quello che so, è che vorrei che tutti avessero ascoltato Olga parlare, visto i suoi occhi mentre raccontava. E so per certo che volevo raccontarvelo a mia volta. Per non dimenticare.
Eleonora D’Errico