2022-11-11

La lotta per i diritti di quelle che di fatto sono minoranze presenta un risvolto che spesso viene ignorato: l’incomprensione con cui è accolto chi la persegue. Il pericolo, però, può essere scampato nel momento in cui si incontrano altre persone con cui condividere la stessa partita e con cui portare avanti il proprio progetto e, perché no, anche parte della propria vita. Abbiamo parlato di questi temi con Francesca Maiorano, l’unica donna diversamente abile tra I Ragazzi di Robin, associazione di persone autistiche coordinata da Melania Bergamaschi.
Come sei “diventata” una Ragazza di Robin?
«Nel dicembre 2018 il sindaco Paolo Micheli ha pubblicato su facebook un post in cui ringraziava Jacopo, uno dei Ragazzi di Robin, per avergli regalato un suo dipinto. Così ho chiamato la presidente dell’associazione e le ho subito chiesto se ci fosse un posto per me all’interno del gruppo. Non lo davo per scontato, perché so che una persona con la paralisi spastica, come me, ha necessità e richiede accorgimenti diversi da quelli di persone con l’autismo. All’inizio ci abbiamo ragionato un po’ insieme e sono stata molto stupita dall’apertura e dalla disponibilità di Melania. E ora eccomi qua: mai stata più grata di avere letto un post su facebook».
Come è cambiata la tua vita da quando fai parte dell’associazione?
«Sicuramente in meglio, per via di tutte le esperienze che adesso ho modo di vivere durante la giornata. Negli ultimi anni ho fatto cose che non pensavo di essere capace di fare. Per esempio, fino a poco fa non mi sarei mai immaginata di riuscire a raccogliere l’immondizia dalle strade e invece ora ho visto che sono in grado di farlo. Essere parte dei Ragazzi di Robin mi ha alzato l’autostima e nel contempo mi ha insegnato come prendermi cura di Segrate, senza comunque rinunciare alla battaglia che porto avanti, ormai dal 2009, con e per la città. Continuo a lottare per l’abbattimento della barriera architettonica e con gli altri ragazzi ho avuto modo di spostare la mia prospettiva su questo impegno. Fare parte dell’associazione è molto gratificante, perché lo sforzo di un singolo diventa sforzo collettivo».
In che modo fare parte dei Ragazzi di Robin ti fa sentire valorizzata?
«All’interno del gruppo mi sento sempre bene e valorizzata dagli altri ragazzi, che non fanno mai mancare il loro supporto. Gli unici momenti di disagio li vivo quando è necessario prendere misure diverse apposta per me, perché per esempio non posso compiere lo stesso tragitto di tutti gli altri quando dobbiamo raggiungere un certo posto. Questo però è ancora legato alla presenza di infrastrutture inadeguate perché non inclusive».
E in che modo ti senti sottovalutata?
«È difficile a dirsi perché proprio mancano le occasioni per sentirsi sottovalutata, per me come per tutti gli altri del gruppo. Esistono infatti altre barriere, legate all’ignoranza e al disinteresse delle persone, di cui le barriere architettoniche a cui mi riferivo prima sono solo figlie».
Che significato ha per te il regalo della carrozzina, che ti è stato fatto attraverso I Ragazzi di Robin?
«Vannina, io la chiamo così, per me significa tutto, perché ha delle funzioni che mi permettono azioni banali, senz’altro, ma per me importantissime, come arrivare agli scaffali del supermercato: rimuove almeno alcuni ostacoli. Adesso posso andare ovunque, più o meno, e vivere la città, che di fatto non è accessibile. Questo per me è un problema assurdo, perché non dovrebbe essere difficile implementare misure di accessibilità da parte delle istituzioni che, per il loro ruolo, dovrebbero essere a conoscenza della realtà in cui operano. Noi saremo anche una realtà minoritaria, ma che comunque non può essere negata: è questa esigenza che ho cercato di sostenere alle scorse elezioni».
Visto che le hai citate, cosa ti è rimasto dell’esperienza di quella campagna elettorale?
«È stata un’esperienza da me molto voluta e a questo proposito ringrazio il sindaco Micheli per la fiducia e la città di Segrate per questa prima apertura con cui mi ha accolto. Mi è rimasta la sensazione forte e bella dell’infondere sicurezza e  raccontare le mie intenzioni: è stato gratificante dare voce a quell’1% della popolazione che altrimenti rischia di rimanere muta. Ovviamente sono stata anche attaccata, perché in quanto disabile c’è chi riteneva che non fossi adatta per il ruolo, ma io porto avanti il mio impegno in ogni caso da anni e non ho intenzione di smettere. Sembra facile ma non lo è, perché bisogna vigilare sulle istituzioni di competenza affinché mettano in atto quanto promesso e al contempo continuare a dare spiegazioni riguardo a cose che io rendo solamente note, ma che sono visibili da tutti nella città stessa. Visibili, s’intende, per chi ha la voglia di conoscere e di mettere in atto un cambiamento reale. Alla fine, sono orgogliosa di questa esperienza».
La ripeteresti?
«No, anche perché non è necessario che sia io a diventare sindaco perché la situazione migliori: il candidato dovrebbe già conoscere le realtà della città in cui vive. La collaborazione con Paolo Micheli è stata biunivoca, perché credo che entrambi ascoltandoci a vicenda abbiamo aumentato il nostro bagaglio di conoscenze e di questo sono già grata. Preferisco chiudere qui il mio impegno politico, perché quella è una strada che richiede molti sacrifici, oltre che forza fisica e mentale e perché si è continuamente esposti al rischio di non essere capiti. È stato un bel salto nel vuoto, ma non lo ripeterei con altri candidati: preferisco continuare il mio percorso con I Ragazzi di Robin».
Chiara Valnegri