2018-01-12

 

Passione e determinazione, sono queste le peculiarità che hanno portato Giulia Ragnoli, peschierese classe 1989, ad affermarsi a livello professionale e a piazzarsi seconda in un importante concorso internazionale di architettura. Laureatasi con lode nel 2014 grazie a una tesi sull’urbanistica di Detroit, dopo appena un anno Giulia ha iniziato a lavorare per un rinomato studio di architettura di Parigi. «Ho cominciato la mia avventura francese con uno stage», spiega la giovane. «Ora lavoro e vivo qui quasi in pianta stabile». Le ambizioni hanno sempre avuto un ruolo molto rilevante nella sua crescita professionale ed è anche per questo che, insieme all’amica Mariachiara Mondini, fin dall’università ha preso parte a molti concorsi di idee inerenti al suo campo, e le soddisfazioni non sono tardate ad arrivare. «Io e Mariachiara, con il nome di Due Atelier, siamo salite sul secondo gradino più alto del podio di Europan, celebre concorso a cui partecipano molti stati europei», dichiara Giulia. «Ovviamente siamo contentissime del risultato, primo perché i progetti in gara erano tutti di altissimo livello e secondo perché, potendo spaziare anche in altri settori come l’urbanistica e la fotografia, il ventaglio di competenze richieste era molto ampio». Europan  è un programma di concorsi con cadenza biennale che da ormai trent’anni riunisce progettisti di tutto il mondo, e il fatto che sia organizzato da una federazione formata da venti Paesi europei lo rende una competizione molto aperta. È strutturato in diverse scale di progetto e ogni nazione partecipante propone dei siti sui quali i vari team possono lavorare. «Il tema di quest’anno era “Productive cities», prosegue la peschierese. «Abbiamo scelto di dedicarci a un sito in Svezia, la città di Karlskrona, un po’ per il particolare interesse nei confronti degli stati nordici dove sono stata in Erasmus ai tempi dell’università, e un po’ perché ci intrigava il fatto che il sito fosse quasi interamente in acqua. Si tratta di un’area sviluppata su un arcipelago, il che ci ha permesso di riprendere vari concetti, quali ad esempio l’acqua vista come elemento unificatore tra le varie isole. Abbiamo così elaborato un progetto che prevede l’estensione del contesto urbano e la connessione tra diverse aree. Il nostro obiettivo era quello di reinterpretare la struttura dell’arcipelago per creare un distretto galleggiante sul mare,  e la presenza dell’acqua ci ha fornito la flessibilità che cercavamo. Siamo quindi riuscite a creare una realtà che connette le persone nonostante le isole siano per definizione divise tra loro». Dighe, moli, villaggi di zattere e infrastrutture verdi ed energetiche: anche a un occhio inesperto il progetto appare funzionale, moderno e rispettoso della conformazione fisica della zona. Una scelta audace, dunque, quella del sito svedese, ma che ha ripagato largamente la squadra di Giulia. Il secondo posto in un concorso così importante è qualcosa di cui andare veramente fieri, ma il giovane architetto crede che non sia un traguardo, bensì un punto di partenza e un’esperienza da cui imparare per il futuro. «La strada è ancora molto lunga e credo ci sia un ampio margine di maturazione», spiega la giovane. «Il nostro settore ci porta spesso a lavorare all’estero e questo penso sia importantissimo per una crescita personale e professionale. Penso  lo si debba soprattutto alla versatilità dell’architettura, al fatto che possa davvero spaziare in moltissimi ambiti. Per quanto mi riguarda ho lasciato l’Italia perché mi si è presentata un’occasione unica e conoscendo già bene tre lingue, cosa fondamentale al giorno d’oggi, non me la sono fatta sfuggire». Certo, lavorare in un affermato studio di architettura a Parigi è davvero il massimo, ma non è sempre facile far combaciare la carriera con la mancanza degli affetti. «Ovviamente mi manca tanto la mia famiglia», sorride Giulia. «Ed è anche per questo che un giorno spero di tornare in Italia. Anche perché è giusto andare e mettersi in gioco, ma credo che a un certo punto sia altrettanto bello poter tornare nel luogo dove si è partiti e magari mettere quello che si è imparato a disposizione degli altri».
Mattia Rigodanza