2018-02-09

In questo grande futuro, non puoi dimenticare il tuo passato”, sosteneva Bob Marley. Ammettiamolo, presi dalla foga dell’innovazione troppo spesso ci scordiamo delle nostre radici e inesorabilmente ci allontaniamo dalla tradizione. I piccoli paesi diventano città, i percorsi sterrati grandi strade provinciali e se prima la vita commerciale ruotava intorno alle botteghe, ora ci tuffiano nei centri commerciali. E che fine fanno i negozi di quartiere? Alcuni sopravvivono reinventandosi, altri, purtroppo, tendono a scomparire. Il ferramenta Cozzi di via Parini, all’ingresso di Bettola, è un punto di riferimento per intere generazioni. «Per risalire agli albori di questa attività dobbiamo tornare indietro fino al 1700, ma ovviamente non se ne so molto di quell’epoca», racconta Enrico, il titolare. «Abbiamo trovato delle fatture di epoca fascista. Se nel Settecento ci si occupava di ferrare cavalli, aggiustare carrozze e sistemare le armi del signore di turno, nel Novecento il lavoro si è incentrato sulle piccole esigenze quotidiane dei comuni cittadini. Nel 1954 mio padre Francesco si è trasferito nella sede attuale e nel ’95 sono succeduto io». Enrico Cozzi ha iniziato a lavorare all’impresa di famiglia ad appena 16 anni e ha visto il lavoro cambiare radicalmente. «Durante il boom economico trattavamo di tutto, dagli elettrodomestici, agli utensili agricoli ai giocattoli. Abbiamo vissuto l’evoluzione dei televisori in prima persona, da quelli a valvole a quelli moderni al plasma. Ci siamo adeguati alle trasformazioni della società e del territorio perché se non sai stare al passo coi tempi avrai sempre vita dura in questo settore», conclude il commerciante. L’avvento di internet ha cambiato il gioco per sempre, ma ci sono botteghe che restano ancorate alle vecchie maniere. È questo il caso del barbiere Sabino Crudele, storico luogo d’incontro per la gente di Bellingera. «Lavoro in questo negozio di via Puccini dagli anni ’60, prima come garzone e poi in proprio dal ’68», spiega Sabino. «Rispetto ai primi tempi è tutto cambiato, ma la mia tecnica rimane più o meno la stessa. Peschiera era completamente diversa, ma da zona agricola ad area industriale il passo è stato repentino. Il problema è arrivato quando le aziende hanno iniziato a chiudere. Io, per fortuna, ho sempre lavorato e continuo a farlo, anche se molti dei miei storici clienti oramai non ci sono più». I barbieri tradizionali hanno dovuto fare i conti con il cambio di abitudini delle persone. Se a metà del ’900 erano poche le case in cui ci si poteva fare la barba, ora in pochissimi si rivolgono a professionisti e la maggior parte della gente preferisce pensarci da sola. «Con l’aumento del benessere è diminuito il lavoro per noi. È strano pensare che qui a Bellingera ci fosse solo un telefono fino agli anni ’60. I tempi più belli, però, restano quelli dopo la metà dei ’70, che hanno coinciso con la crescita industriale. Prima eravamo 2700 persone e 4000 mucche, ora le cose sono decisamente cambiate», scherza il parrucchiere peschierese. Nonostante tutto le giornate continuano, tra barbe e capelli, e Sabino proprio non si lamenta, anzi. Il settore che probabilmente ha tratto gli svantaggi più pesanti dal progresso industriale è quello alimentare. Il mini market Garlaschi di Mezzate è stato per anni il centro della vita di tutta la frazione. «I miei hanno aperto questa attività nel ’59, appena si sono sposati, io gli sono succeduto nel ’96 dopo quasi quarant’anni d’intensa gestione da parte loro», dichiara Michele, l’attuale proprietario. I Garlaschi sono una famiglia storica di Peschiera che ha segnato l’imprenditoria locale con attività che spaziano dai generi alimentari ai sali e tabacchi. «I miei hanno sempre lavorato moltissimo e noi figli gli abbiamo sempre dato una grossa mano. La nostra vita ruotava intorno a questo negozio ed erano tempi bellissimi, fatti di giornate lunghe, mestieri faticosi e relazioni autentiche. I centri commerciali ci hanno tagliato un po’ le gambe, tant’è che ora lavoriamo solo sulle piccole dimenticanze. Personalmente spero che i miei figli non seguano la mia strada e studino per fare qualcos’altro nella vita, perché in questo settore nessuno ti aiuta. C’erano stati promessi dei soldi con l’arrivo della Coop, ma non abbiamo visto niente, e in compenso continuo a pagare la tassa sull’illuminazione dell’insegna quando se non ci fosse quell’insegna l’intera via sarebbe al buio», sostiene il negoziante con l’amaro in bocca. Anche l’osteria Pit Stop, di via XXV Aprile, sta riscontrando qualche problema. «Sono 20 anni che viviamo con gli impiegati delle aziende della zona, ma con la crisi molte hanno chiuso e il lavoro è sostanzialmente diminuito , spiega Nicola D’Adamo, il titolare. Insomma, il progresso è responsabile e funzionale solo se accompagnato da una politica di sostegno sociale mirata e ben strutturata. Salvare le piccole imprese e gli artigiani locali è un dovere.  
Mattia Rigodanza