06 Maggio 2022

Cernusco sempre più terra di scrittori e scrittrici e Cristina Stanescu è l’ennesima conferma. Giornalista a Mediaset (è capo servizi esteri) e autrice di un blog (www.scandal.tgcom24.it) dedicato ai reali di Inghilterra, di cui sa vita, morte e miracoli, il 12 maggio uscirà il suo nuovo romanzo “La linea della vita” (Sem edizioni) che segue il suo libro d’esordio “Quando le foglie ridono”. Cristina è una persona da conoscere assolutamente. E noi lo facciamo partendo proprio dalla sua ultima fatica letteraria, di cui ci racconta qualcosa in anteprima.
Come nasce “La linea della vita”?
«Nei mesi del primo lockdown tutti noi abbiamo avuto all’improvviso tanto tempo vuoto. C’è chi si è dedicato alla cucina, chi ha pulito cento volte casa: io ho rispolverato tre vecchie scatole di mia nonna, di cui conoscevo l’esistenza, ma che non avevo mai aperto. Dentro c’erano  lettere, documenti, ritratti, cartoline e perfino una mia letterina a Babbo Natale. E poi tante foto che sul retro riportavano date e chi era immortalato. E in quelle scatole mi ci sono persa, ma anche ritrovata».
Un tuffo in un passato che non conoscevi?
«Mamma, che era italiana, è morta negli anni Novanta, papà 10 anni fa. Io sono nata e cresciuta in Italia, lui era la mia sola rumenità e me ne aveva sempre parlato poco. Solamente mia nonna si sbottonava un po’ di più. Così ho incominciato a contattare parenti in giro per il mondo e a riannodare quei fili. L’ho fatto per me, ma soprattutto per i miei figli perché credo sia importante riappropriarci delle nostre radici. Ho provato rammarico per aver perso questo mondo e ho cercato di immaginarlo, volevo riviverlo. Ecco da dove è partita l’idea per questo romanzo».
E hai iniziato a scrivere…
«È stato un viaggio in una Romania sconosciuta, che non si trova sui libri di storia italiani. Essendoci pochissime fonti, ho ricostruito uno stile di vita dagli anni Venti agli anni Sessanta e non è stato semplice. Il romanzo racconta una saga familiare, dove c’è dentro davvero di tutto: dalla guerra all’amore, ma sarebbe riduttivo definirlo con due parole, credimi».
Conoscendoti, ti credo. Ma mi dai qualche spunto per capire meglio?
«Tutti noi abbiamo avuto una nonna fantastica che si è tirata su le maniche e che ha tenuto tutti uniti proiettandoci verso il futuro. Persone che vengono da una generazione con attributi che noi neppure immaginiamo. E così, per farmi coraggio, mi sono ispirata a mia nonna, che nei momenti complicati mi diceva sempre “Gata”… Basta. Ed è questo che ho voluto consegnare ai lettori. Una compagna portafortuna, una persona coraggiosa che dice “Gata”, che dice "basta" e che sprona ad andare avanti».
C’è dell’autobiografia familiare nel romanzo?
«Ho ricostruito la storia di mia nonna e della sua famiglia, ispirandomi ad alcune vicende storiche e immaginando il destino di varie generazioni esposte agli eventi quali la prima Guerra Mondiale, l’occupazione russa e la dittatura comunista in Romania».
Un cambio di passo netto, rispetto al tuo primo romanzo…
«In “Quando le foglie ridono” ho raccontato una realtà che conoscevo bene, dove ogni singolo sguardo della mia vita era un’ispirazione. Io devo vedere le cose per scriverle, questa volta, però, non è stato così facile. Ho dovuto immaginarle ed è stata un’avventura straordinaria perché alla fine ce l’ho fatta, sono riuscita a vederle. Diciamo che nel primo romanzo mi sono divertita con la freschezza della parola, mentre ne “La linea della vita” la parola si è messa al servizio della chiarezza, rendendola lieve e traparente».
Quando si scrive un romanzo spesso si deve studiare. In questo caso, immagino, anche di più.
«Ho passato lunghe notti su Skype con il mio docente di lingua e letteratura rumena alla Cattolica, che ora vive a Bucarest. E poi testa bassa su libri, saggi e documenti».
Come scrittrice hai mai conosciuto l’incubo della pagina bianca?
«Mai. Dai pensierini alle elementari, ai temi delle medie, per me un foglio bianco è sempre stato felicità massima. Scrivere è semplice, mi viene naturale. Non mi fermo mai. Scrivo per esistere. È più difficile pensare alle scene e agli incastri, ma le parole non mi sono mai mancate».
Emozioni, sensazioni, aspettative, ora che il romanzo sta per uscire?
«Le aspettative sono due. Innanzitutto io mi sono stupita molto nello scriverlo e mi auguro che il lettore percepisca questo e lo possa vivere a sua volta, nei confronti di qualcosa di così vecchio eppure estremamente nuovo. E poi mi piacerebbe proporre un esempio: un personaggio che possa diventare simbolo della forza che abbiamo. Far passare il messaggio al lettore che dentro lui c’è qualcosa di coraggioso che può farlo resistere davanti a qualunque cosa».
La differenza tra scrittrice e giornalista?
«Ti dirò che in questo romanzo ho cercato di essere corretta con il lettore e forse sono stata più giornalista del solito, anche se l’immaginazione dello scrittore conta. E comunque, per essere scrittori si parte da se stessi, è un’operazione davvero impegnativa, E in questo caso, nonostante i silenzi dei miei genitori che forse volevano dimenticare, mi sono riappropriata di una parte di me stessa che non sapevo di avere. Ho recuperato un mondo che vale la pena di conoscere».
Nel tuo romanzo si parla anche di guerra, dramma che proprio  in questi giorni stiamo conoscendo più da vicino del solito…
«Già. Avevo finito il romanzo da due settimane ed è scoppiato il conflitto in Ucraina. Per paradosso ho scritto un prequel. Quello che successe in Romania ha molti aspetti in comune con quello che purtroppo stiamo vivendo oggi. Quando sento anziani ucraini dire: “Piuttosto che tornare con i russi mi faccio uccidere” è una frase che mi sconvolge, ma non mi stupisce dopo aver scritto questo libro. Piuttosto, mi sorprende sentirla a distanza di 100 anni, anche se il mio romanzo, senza che ne avesse l’intenzione, aiuta a capire quello che sta succedendo in Ucraina».
Il tuo cognome conferma le tue origini rumene. Ti ha mai creato difficoltà, soprattutto da giovane?
«A parte quando a 8 anni la mia insegnante di danza nel fare l’appello faticava a pronunciarlo e le mie compagne mi guardavano come una marziana, direi di no. Quando ci fu la seconda ondata di rumeni in Italia, io ero già una firma di testate importanti in tv. Sono orgogliosa di essere nata e cresciuta in Italia, ma trovo ingiusto che un intero popolo sia ridotto a un’etichetta infamante. Comunque quelle poche volte che il mio cognome mi ha messo in una situazione spiacevole, ho sempre replicato con una battuta».
Ho esordito dicendo che Cernusco è terra di scrittori e scrittrici. Cosa c’è, qui, nell’aria?
«Forse Cernusco è una realtà che ti permette il contatto giusto con le persone e poi è perfettamente integrata con la natura».
Un’ultima curiosità: dove vuole arrivare Cristina Stanescu?
«A me basterebbe poter continuare a scrivere. Ho iniziato la mia vita scrivendo e vorrei finirla nello stesso modo, possibilmente raccogliendo soddisfazioni».