14 Dicembre 2018

Davvero tanta la gente che lunedì pomeriggio si è ritrovata nella chiesa di Santa Maria Assunta per dare l’ultimo saluto a Loredana Limone, scrittrice di origini campane, ma cernuschese d’adozione. Un silenzio composto, surreale, che quasi stonava a confronto del suo carattere allegro, positivo, desideroso di respirare la vita. L’autrice della fortunata saga di “Borgo Propizio” è venuta a mancare nella notte tra venerdì e sabato. Da tempo stava lottando con un male bastardo e lo faceva parlandone, senza mai nasconderlo, quasi volesse sfidarlo. Una crisi respiratoria improvvisa ha spezzato la sua ancora giovane vita, quando sembrava esserci qualche piccolo miglioramento. O forse era lei a farlo credere. Chi scrive  ha avuto la fortuna e il piacere di confrontarsi con Loredana parecchie volte negli ultimi anni. Per amore dei libri e della lettura e per una sottile amicizia che diventa  difficile da raccontare, specialmente in questi momenti, senza rischiare di cadere nella retorica. Però, come mi direbbe lei: «Ehhh... Ma chi se ne frega, tu scrivi quello che senti dentro». E allora seguirò questo suo consiglio che mi ripeteva spesso, quando le esternavo qualche dubbio. La prima volta che Loredana mi ha contattato l’ha fatto tramite un messaggio su messenger. Aveva scoperto da qualche mese di avere un tumore. Mi scrisse più o meno così: “Ho il tuo libro “Cuore apolide” con me da quasi sei mesi, scusami se l’ho letto solo ora”. Già, proprio così, esordì scusandosi. E subito dopo: “Il tuo libro è davvero bello, intenso. Mi ha colpito. Con un po’ di editing puoi diventare uno scrittore a tutto tondo. Se fossi in te mi butterei. Appena starò un po’ meglio, se vorrai, ti darò qualche consiglio e proverò ad aiutarti a trovare la strada giusta”. Esatto. Nella malattia, il suo pensiero erano i libri. Non solo i suoi, ma i libri in generale. Quelli che a suo dire meritavano un pubblico, che sapevano emozionare. E da quel giorno è nato uno scambio di consigli, suggerimenti e riflessioni intervallati da pause lunghe dovute a quella maledetta chemioterapia che la sfiancava. La sua ultima telefonata è arrivata la scorsa settimana. Voleva sapere se stavo scrivendo. Esordiva sempre così e poi, intristendo di una virgola la sua voce, aggiungeva: «Io non riesco, non ho forza e idee». Ma non per questo smetteva di tifare per chi aveva preso in simpatia. Aveva aggiunto: «Ho un progettino per te che ti piacerà. Sarà una bella collaborazione» e con il consueto entusiasmo mi aveva accennato il minimo indispensabile, giusto per non creare troppe aspettative. Quando sabato mattina mi hanno comunicato la triste notizia sono rimasto attonito, per interi minuti, seduto sulla sedia in cucina, a ripercorrere decine di episodi della mia vita. Rilevando in quanti lei fosse saldamente presente. E a pensare a come fosse possibile che una persona così vicina alla morte avesse tanta vita nel cuore.
Roberto Pegorini