15 Novembre 2019

Due anni di indagini fitte, di interrogatori, di controlli e verifiche, ma alla fine pare vincere la rassegnazione: chi ha lanciato il sasso che la sera del 9 novembre 2017 colpì l’auto con a bordo la 62enne Nilda Caldarini, provocandone la morte, quasi certamente la farà franca. I termini di leggi, infatti, sono giunti al capolinea e il caso dovrebbe essere archiviato. Questo non significa che se emergessero delle novità non possa riaprirsi, ma vuol dire che gli inquirenti stanno per issare bandiera bianca.
La donna stava rincasando, insieme a quattro amici, da un incontro di preghiera tenutosi nella bergamasca, quando sulla provinciale 121 un sasso di 1 chilo e 4 etti infranse il parabrezza della vettura, colpendola sullo sterno. La corsa in ospedale fu inutile, la 62enne spirò poco prima di arrivarci. In un primo momento si ipotizzò che la sua morte fosse dovuta a un infarto, causato per lo spavento, ma l’autopsia conferò che fu colpa della grossa pietra.
Fin da subito le indagini risultarono complicate. La zona dell’omicidio (perché di questo si tratta) è piuttosto isolata e buia. Niente telecamere puntate sul terrapieno da dove la mano assassina scagliò la pietra, ma neppure nelle vicinanze. Furono effettuati rilievi, nella ricerca di qualche traccia di dna, ma anche questa pista portò a un vicolo cieco. Gli inquirenti hanno sempre sospettato che potesse trattarsi di un ragazzino, probabilmente insieme a qualche amico, ad aver compiuto il folle gesto, ma non c’è stato nulla da fare: il nome non è mai emerso. E così la morte di Nilda Caldarini rischia di restare impunita.