22 Luglio 2022

MILANO - La Direzione Distrettuale Antimafia di Milano della Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica ha eseguito una serie di misure cautelari nei confronti di soggetti ritenuti responsabili a vario titolo dei reati di usura ed estorsione, aggravata dal metodo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’indagine ha, ancora una volta, rafforzato il recente trend criminale emerso in numerose inchieste in base al quale le organizzazioni mafiose, in un’ottica imprenditoriale, prediligono la penetrazione del tessuto economico-commerciale, anche avvalendosi di attori del settore compiacenti e disposti ad alterare le regole del libero mercato. 

Le investigazioni hanno consentito di svelare un complesso, quanto redditizio (si stima che in totale il giro di affari legato alle sole emissioni di false fatture ammontasse diversi milioni di euro) meccanismo fraudolento incentrato su una vera e propria “vendita di denaro” da parte di alcuni degli indagati che consentiva da un lato di poter camuffare dei prestiti di tipo usuraio o delle vere e proprie estorsioni e dall’altro di lucrare sul fisco o sullo sfruttamento di manodopera in nero.

L’operazione ha origini lontane, precisamente nel 2019, quanto è stato scoperto un articolato sistema di artifizi contabili consistente nella emissione di false fatture da parte di ditte che fungevano da società fantasma non operative. A seguito di tali accertamenti il Tribunale di Milano aveva emesso un decreto di sequestro a carico di uno degli attuali indagati, risultato affiliato alla ‘ndrangheta di Giussano, direttamente collegata alla locale di Guardavalle (Catanzaro), quale gestore di fatto, attraverso una serie di prestanome, di società cartiere che emettevano false fatturazioni al fine di mascherare altre operazioni ed attività illecite. Gli investigatori della Squadra Mobile, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, hanno raccolto anche le dichiarazioni di due presunte vittime di usura da parte del medesimo indagato, il quale approfittando delle difficoltà economiche delle vittime, avrebbe prestato ingenti somme di denaro a tassi di interesse usurario, variabili tra il 10% e il 30% mensili, che, qualora non restituiti avrebbero determinato delle pesanti conseguenze nei loro confronti.

Il complesso meccanismo illegale sin qui svelato dall’inchiesta giudiziaria, ha visto operanti  due gruppi di correi, un tempo omogenei, che, dopo i primi provvedimenti del Tribunale di Milano, si erano scissi mantenendo, tuttavia, il medesimo modus operandi per cui, a fronte di richieste di piccoli imprenditori in difficoltà o con esigenze di retribuire personale assunto irregolarmente o per evadere il fisco, si rivolgevano agli indagati per ricevere somme di denaro in contante che venivano poi restituite sotto forma di assegni o bonifici a fronte di emissione, da parte delle ditte cartiere, di false fatture. Le somme bonificate venivano a loro volta girate su altri conti e, infine, al termine di una complessa catena di bonifici atti a camuffare l’origine delle somme, esse venivano prelevate con cadenza pressoché giornaliera da alcuni degli indagati deputati al ruolo di prelevatori per il quale percepivano uno vero e proprio stipendio come se si trattasse di un lavoro stabile. Infine, le somme prelevate ritornavano agli originari prestatori. Un giro di affari che, nel solo periodo d’indagine, circa un anno, ha consentito di documentare prelievi intorno ai 7 milioni di euro. Dei dieci indagati, tre sono stati condotti in carcere, altri quattro sottoposti alla misura degli arresti domiciliari e uno sottoposto alla misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.