10 Gennaio 2020

Qualche volta le cose iniziano con gran fragore ed è difficile non presagire il cambiamento. Altre volte, però, le trasformazioni possono insinuarsi in modo più subdolo tra le crepe del vivere quotidiano, e a quel punto diventa quasi impossibile capire cosa stia succedendo. Spesso questi momenti di transizione ci lasciano intimoriti, ma rispondono a una volontà che avevamo a lungo espresso. In fondo, ci piace immaginare un futuro a venire, ma condividiamo tutti un limite: l’ottimismo è sufficiente solo nella fantasia.
Il 31 dicembre brindiamo sempre all’anno nuovo, armati di buoni propositi e aspettative, per consacrare ogni inizio con l’ingenua speranza in un “tempo migliore”. Ci comportiamo sempre così, affidando ogni nuovo cammino a una fiducia cieca, che affonda le sue radici nei lieto fine a cui siamo stati educati. All’interno del flusso degli eventi di un anno, però, ci sono inizi ben più significativi di quello marcato da uno scoccare di lancette e qualche fuoco d’artificio. Coviamo senza posa il desiderio che le cose cambino e, di solito, alla fine succede, ma la linea tra gli eventi è così sottile che finiamo per cambiare anche noi, senza notarlo quasi. Riusciamo a distinguere il confine dal normale andirivieni della quotidianità soltanto a posteriori, guardando l’immagine ingrandita.
È così che mi sono ritrovata, a settembre, a iniziare l’università, mentre nella mia mente era ancora la sera prima della maturità e stavo tornando a casa ascoltando “Notte prima degli esami”. Parlandone coi miei amici, è sembrato un fatto universale: stavamo vivendo così immersi nel momento che non ci siamo resi conto che le cose stavano cambiando e che anche noi stavamo crescendo.
Un istante prima uno vorrebbe rompere il vincolo che lo lega ai doveri del presente e un attimo dopo il legame è spezzato e ci si rende conto che il desiderio non può esaurirsi lì. Nel frattempo, non si è più disposti a negare il passato in virtù di un ottimismo ormai anacronistico; si cerca invece ogni resto utile di ricordo e lo si osserva finché non viene coperto da quella patina del tempo che è la nostalgia. Solo a questo punto uno può dirsi pronto ad affrontare di nuovo un altro inizio. Infatti, dopo l’eccitazione iniziale, occorre anche (e soprattutto) vedere la continuità col passato, perché solo così si può riconoscere ancora se stessi. Questo forse dovrebbe essere l’unico obiettivo.
Chiara Valnegri