21 Febbraio 2020

U  n teatro fatto da non attori, dove non si indossa una maschera, ma si lavora sul togliere la propria, che non mette in scena performance bensì transizioni teatrali. L’obiettivo non è realizzare un’esibizione, bensì una condivisione che debutta e muore nel momento esatto in cui si conclude. Quella che vi abbiamo appena descritto è una forma d’arte assai particolare, la teatroterapia, condotta a Pioltello da Salvatore Ladiana, che 5 anni fa ha fondato e da allora presiede l’associazione “TeatroInBolla”. «Benché la parola terapia faccia venire in mente chissà quali malattie e quindi cure, la teatroterapia lavora sul benessere e per questo può essere praticata da chiunque, in ogni età e in qualsiasi condizione» ha precisato Ladiana, da oltre vent’anni nel mondo del teatro, formatosi poi presso la Scuola di formazione in Teatroterapia di Milano. Dalle sue esperienze e dalla passione per il teatro sperimentale, sociale e riabilitativo è nata l’idea di andare dall’altra parte, ovvero di non essere più protagonista sulla scena, ma di fare quello che in teatroterapia viene definito “conduttore”: nel 2015 ha fondato così TeatroInBolla, scegliendo un nome tutt’altro che casuale. «Bolla perché questa forma d’arte crea dei setting protetti, all’interno dei quali c’è accoglienza e abbattimento del giudizio» spiega il teatroterapeuta. «La bolla permette di attutire le cadute, separa, ma essendo trasparente non isola e permette di entrarvi e uscirvi in maniera osmotica. Questo significa, anche, che per fare teatroterapia bisogna essere predisposti. Io posso fare da conduttore, il gruppo accoglie, ma se la persona non è per prima aperta a lavorare su se stessa per lei non è il momento giusto». Nella sede di via Roma, Salvatore e i suoi collaboratori conducono laboratori per adulti e bambini, mettono in scena performance per occasioni specifiche e realizzano transizioni teatrali. «Transizioni e non esibizioni perché sanciscono un passaggio, una trasformazione» prosegue Ladiana. «In teatroterapia non si indossano maschere e costumi, ma si lavora proprio sul togliere le proprie sovrastrutture: ecco perché si parla di “nudità scenica” e di “non attori”, non si recita, si lavora sul proprio corpo, sulla sua destrutturazione allo scopo di fare emergere se stessi». Tra i diversi utenti di questa particolare forma di teatro, troviamo anche i detenuti del carcere di Bollate. «Portiamo la teatroterapia nel settimo reparto protetti, dove si trova chi ha commesso reati contro la persona, i cosiddetti sex offenders» prosegue Salvatore. «È stata una scommessa lavorare con il corpo insieme a persone che il corpo l’hanno violato. Eppure ho ritenuto che proprio questo potesse dare loro un’occasione in più di riscatto. Stiamo facendo un ottimo lavoro con grandi risultati. Concentrarci sull’errore, o in questo caso sul reato, può dare una nuova visione del proprio sé, del corpo e del proprio status». La creatività come motore trainante insomma. «Fare teatro fa bene sempre, come qualsiasi altra forma espressiva ma con una grossa differenza» ha concluso Salvatore «Nelle altre arti c’è sempre una mediazione, come il pennello nella pittura, nel teatro invece c’è solo il proprio corpo e la propria emozione. “Fate dei vostri corpi un capolavoro” non nel senso di perfezione, bensì come bellezza della presenza scenica che permette di arrivare all’acme, allo stato di grazia, al vero benessere. Alla perfezione attraverso l’imperfezione».