17 Gennaio 2019

Dopo quattro anni TeAtrio torna a gestire Cascina Commenda. E l’intenzione è quella di farlo alla grande. Ne abbiamo parlato con il suo direttore artistico, Alessandro Bontenpi.
Innanzitutto bentornati.
«Grazie. Anche se a noi piace vederlo come un nuovo inizio e non un ritorno, con l’intenzione di non fare alcun paragone con il nostro passato o il precedente gestore. Siamo più vecchi di 15 anni, rispetto a quando avevamo iniziato a collaborare, ma anche più esperti e con maggiori contatti».
Con quale spirito vi approcciate allora a questo nuovo inizio?
«Con molto entusiasmo. La nostra filosofia rimane sempre la stessa: la Commenda è il teatro della città e noi siamo solo i gestori. A viverlo devono essere il pubblico e le associazioni e proprio per venire incontro a queste ultime abbiamo abbattuto i costi del 50%, nel caso volessero usufruire dei suoi servizi».
Ma proprio nessuna sensazione di rivincita a tornare a gestire questo teatro?
«Beh, abbiamo fatto un gran lavoro in 10 anni, chiaro che fosse una ferita un po’ aperta. Ma nel frattempo abbiamo guardato avanti e fatto altro. Il cuore voleva tornare e la ragione sapeva che sarebbe accaduto»
Che difficoltà ci sono a gestire un teatro di provincia?
«Tante. Segrate è troppo vicina a Milano e se vuoi che la gente a teatro venga qui devi avere un’identità precisa e ben strutturata, collaborare con il territorio, una capacità capillare di  coinvolgere proprio tutti».
Cosa vi aspettate dai segratesi?
«Diciamo che la risposta avuta la sera di Capodanno è già stata notevole: abbiamo staccato 297 biglietti. Basti pensare che, ottimisticamente, speravamo di girare intorno alle 200 presenze. Miglior modo per tornare  non c’era. Poi possiamo dire che ci aspettiamo tante altre belle soddisfazioni non solo come teatro, ma anche per bar, feste e convegni. Tutto con calma, però».
Intanto avete presentato tre cartelli distinti degli spettacoli: ce li presenta?
«Ci sono dei fili che uniscono il tutto. L’idea è quella di fare uscire la gente di casa per venire a rilassarsi, quindi spettacoli leggeri, brillanti e con attori giovani, così come i registi dei quali, se non ricordo male, nessuno supera i 55 anni. Abbiamo un cartello di cabaret con dei professionisti  di grandissimo livello, molti del circuito Zelig. Poi c’è la stagione di prosa che vede una serie di commedie davvero brillanti con attori di cui vi innamorerete».
E infine c’è la stagione per  i bambini, giusto?
«Esatto. Curata, come direttore artistico, da Barbara Stingo (nella foto insieme ad Alessandro, ndr). Apriremo alle scuole che, se vorranno, potranno venirci a trovare la mattina a prezzi assolutamente accessibili. Saranno spettacoli legati alla didattica, con temi tipo il riciclo dei rifiuti».
Sbaglio o il teatro sta un po’ scordando i grandi classici?
«Il teatro va avanti. Certi capolavori restano tali, ma magari vengono riletti in chiave moderna. Ma è normale che chi fa teatro al giorno d’oggi voglia scrivere cose sue. Per capirci Shakspeare scriveva... Shakspeare, non copiava».
E cosa risponde a chi asserisce che il teatro sta morendo?
«Che il teatro non morirà mai. A Milano, ad esempio, va benissimo. Forse si fa un po’ più fatica in periferia. Devi essere competitivo per reggere. Se vogliamo, la vera difficoltà è che non esiste quasi più il pubblico degli abbonati, quelli che compravano gli spettacoli della stagione in anticipo. Le nuove generazioni non concepiscono questo modo di venire a teatro. Ecco, la nostra sfida è quella di fare abbonare i giovani e per vincerla dobbiamo trovare le proposte artistiche giuste. E poi bisogna partire  abituando i bambini ad andare a teatro. Se ti innamori a 5 anni delle luci che si spengono, della voce dell’attore, del palco che si apre, proseguirai a esserne innamorato anche a 20, 30, 40 anni e così via».
Oltre alla stagione teatrale in cartello, dobbiamo aspettarci qualche sorpresa?
«Siamo attentissimi a tutte le opportunità. Sicuramente qualcosa succederà, ma sono abituato a stare zitto e a non fare proclami fino a quando non ho certezze. Posso però dire che abbiamo intenzione di lavorare anche in estate. L’idea è quella di portare la gente a luglio sotto i portici della Cascina a godersi uno spettacolo e bersi una birra, e la nostra struttura lo consente».
Come ha trovato dopo quattro anni le strutture di Cascina Commenda?
«Quando a dicembre abbiamo ripreso possesso del bar ci siamo resi conto che, negli anni trascorsi lì dentro, avevamo lasciato il segno. La gente prima veniva a salutarci, a stringerci la mano e solo dopo ordinavano un caffè o qualcosa d’altro. È stato inevitabile riprendere lo stesso personale con cui lavoravamo in precedenza. Se invece intende le strutture vere e proprie del teatro, l’impianto audio e le luci sono da sistemare, ma era tutto previsto nel bando a cui abbiamo partecipato e che abbiamo vinto. Abbiamo già iniziato a metterci mano e siamo contenti: il teatro Cascina Commenda è un gioiellino».
Da dove nasce la sua passione per il teatro?
«A 22 anni giocavo a Subbuteo. Ho iniziato a pensare che era il caso di trovarmi un hobby più adatto alla mia età. Ho iniziato così ad appassionarmi al teatro e mi sono presto reso conto che ero entrato in un mondo dove potevo davvero esprimere tutto quello che sono. Quando salgo sul palco sono in pace con me stesso e con gli altri. Adesso ho 50 anni e il teatro è diventata la mia professione. Però confesso che il mio hobby è ancora oggi il Subbuteo».
Ha un sogno nel cassetto?
«Il sogno più grande è che gli addetti ai lavori si accorgano di cosa facciamo qui. Abbiamo spettacoli validissimi e vogliamo che lo capiscano tutti. Speriamo davvero che ci possa essere il salto di qualità. In questi 4 anni siamo cresciuti tantissimo e abbiamo capito di avere tutte le potenzialità per riuscirci».
Non possiamo chiudere l’intervista senza una domanda di rito: in questi anni ha fatto una breve esperienza anche come consigliere comunale. Che riflessione si sente di fare?
(Sorride) «Non era il mio mestiere.  Ho ricoperto questo ruolo dando il massimo e facendo del mio meglio, ma alla fine è stato giusto lasciare spazio a chi ha più capacità».