17 Gennaio 2020

Spesso attraversiamo le nostre città senza entrare mai davvero in contatto con realtà che nascondono mondi sorprendenti, contesti che esulano dalla nostra concezione di normalità, di quotidianità, di convenzionalità. La comunità islamica che gravita attorno alla moschea di Segrate, sulla soglia di Milano Due, è uno di questi mondi e offre estrema ospitalità, grande tolleranza e ottime iniziative che travalicano la sfera religiosa per impattare sul tessuto sociale. «Noi musulmani siamo la seconda comunità religiosa in Italia, dopo quella cattolica, e contiamo più di due milioni di fedeli», spiega l’imam Ali Abu Shwaima, guida spirituale e presidente del Centro islamico di Milano e Lombardia. «La nostra comunità è composta da una grande eterogeneità di persone. Professionisti, ingegneri, medici, commercianti, alcuni sono immigrati qui negli anni, altri sono italiani autoctoni. Ciò che ci accomuna è il fatto di abbracciare la stessa fede e credere negli stessi valori di fratellanza e rispetto verso il prossimo». La struttura di Segrate è frequentata da persone che provengono da tutta la provincia. «La maggior parte di noi è composta da italiani come me, che sono qua da 50 anni, completamente inseriti nel contesto sociale e lavorativo di questo paese. Tanti di noi seguono partiti politici, per esempio. Altri sono nel mondo dell’associazionismo o dell’impegno civile. Come comunità religiosa, inoltre, abbiamo ottimi rapporti con tutte le altre fedi, infatti partecipiamo al forum delle religioni insieme a cattolici, ebrei, induisti e protestanti. Il vescovo di Milano non si è risparmiato di partecipare ai nostri incontri».
Il Centro islamico è effettivamente il ricettacolo di moltissime attività. «Forniamo servizi di doposcuola, corsi di arabo e di italiano, e aiutiamo le persone a inserirsi nel tessuto sociale tramite sportelli legali e assistenza burocratica», continua l’imam. «Per non parlare delle attività sportive, culturali e degli eventi di matrice seminariale. Per noi è importante favorire l’avvicinamento dei giovani alla conoscenza e alla scoperta di culture e tradizioni diverse».
In una comunità così grande e così eterogenea viene da chiedersi come tante persone provenienti da paesi spesso lontani e diversi possano condividere momenti tanto importanti come quelli dedicati alla preghiera. «Le differenze vengono meno quando c’è qualcosa che accomuna. L’Islam è l’anello che tiene insieme una catena che può sembrare eterogenea ma è decisa a stare insieme», spiega il presidente. «Il rapporto con Dio supera ogni differenza, le persone si sentono fratelli. Le indicazioni che i profeti, da Noè a Mosè passando per Gesù e Maometto, hanno fornito sono chiare e indirizzano l’uomo verso se stesso, verso suo fratello e verso l’universo. Convivenza, rispetto del prossimo, di se stesso e dell’universo: questo è ciò che il Corano contiene. Anche il concetto di jihad è importante. Jihad significa sforzo, insegnamento, difesa del più debole. C’è un detto che recita “Il miglior sudare che uno può fare è quando si sforza per nutrire la sua famiglia”. Questa è jihad».
Salde convinzioni religiose che molti italiani fanno fatica ad accostare alla politica. «Noi non siamo estranei ai problemi di quello che effettivamente è il nostro popolo», dichiara Ali Abu Shwaima. «Abbiamo interesse che le cose nel nostro Stato vadano bene e quindi ci impegniamo a votare quando serve. Ci sembra giusto appoggiare persone che riteniamo oneste e capaci di guidare l’Italia. Viviamo tempi difficili, in cui l’uomo sta distruggendo se stesso, come quello che sta succedendo tra Iran e Usa. Esistono centri di potere nei quali si studia come sottomettere i popoli, in cui non si usa la forza della ragione ma quella delle armi, in cui si impostano progetti di sopraffazione. Quella tra sciiti e sunniti è una pura questione politica, per esempio. La frattura si è creata dopo la morte del profeta, che diceva che la guida sarebbe dovuta essere la persona scelta perché la migliore. Secondo gli sciiti questa persona dev’essere necessariamente un discendente del profeta, mentre i sunniti, che sono la stragrande maggioranza, credono che ogni bravo e degno musulmano abbia il diritto di ricoprire quel ruolo. Nessuno si astiene dallo schierarsi da una o dall’altra parte. Nel futuro il mondo deve iniziare a considerarsi come una grande famiglia. E in questa famiglia il più forte deve sostenere il più debole, perché altrimenti non ci guadagna nessuno. Nessuno deve sentirsi in potere di controllare il prossimo. Servono leader che guidino le persone in questa strada virtuosa. Neanche la natura è crudele come l’uomo, ci sono creature debolissime che sopravvivono. Quando c’è ingiustizia c’è caos, quando c’è giustizia ognuno aiuta il prossimo, nonostante le differenze». Ali Abu Shwaima è un uomo che conosce la vita, le persone e i contesti in cui laora. A Segrate, lui e i suoi fratelli musulmani sono perfettamente inseriti nella comunità. In decenni ha subito diversi atti di discriminazione, nonostante, a suo dire, con i segratesi i rapporti sono sempre stati buoni. L’imam ha studiato medicina, ha fondato comunità umane e ha guidato migliaia di persone su una strada fatta di consapevolezza e rispetto. Spesso questo gli è costato caro. Una volta è stato accoltellato, all’uscita della moschea, da un fanatico che lo accusava di essere troppo accomodante. Ma ci sono persone, come lui, che non mollano mai.
Mattia Rigodanza