13 Gennaio 2017

A San Felice la conoscevano davvero tutti. Era una delle anime del quartiere. Il 27 dicembre ha avuto un malore subito dopo pranzo. Inutili i tentativi degli operatori del 118 per rianimarla. A 76 anni Grazia Panichi Parodi è deceduta lasciando un profondo vuoto non solo nel cuore del marito Ghighi, delle figlie Raffaella e Beatrice e dei cinque nipoti, ma anche in quelli di tutta la comunità. «Ci eravamo trasferiti a San Felice il 5 ottobre del 1970, giorno del suo 30esimo compleanno» racconta Ghighi.«A quel tempo vivevamo in zona città studi e io ero contrario a trasferirci in periferia, per me aveva più logica spostarci verso il centro. Ma Grazia era convinta fosse la scelta giusta e aveva ragione. Insieme alle sue quattro storiche amiche conosciute poco dopo rivoluzionò San Felice». Davvero tante le iniziative messe in piedi da quello che, scherzando, suo marito definisce il “cerchio magico”. «Per prima cosa allestirono una biblioteca. Inizialmente usavano i loro libri, ma l’iniziativa prese piede quasi subito al punto che ci furono addirittura tre cambi di sede, fino a quella attuale, per necessità di spazi sempre maggiore». Non solo, per finanziare l’acquisto dei volumi Grazia e le sue amiche crearono dal nulla il cinema del rione. «Inizialmente si teneva nel mini teatrino della scuola elementare con la gente che si portava le sedie da casa, in seguito trovarono un accordo con il parroco per avere un locale in comodato d’uso, fino a quello che oggi è Sanfelicinema». E in quel periodo nacque anche l’associazione Scighera (da cui prende il nome l’attuale biblioteca). Davvero tante le iniziative messe in piedi da Grazia e dalle sue amiche. Ha portato il basket nel quartiere, ha creato un gruppo lettura e per 30 anni ha tenuto lezioni di storia dell’arte per le sue amiche con tanto di gita “scolastica” ogni anno. Una passione, quella per la storia dell’arte, che la portò a tenere corsi anche per l’Actel, a Milano Due. E poi le numerose raccolte di fondi per aiutare chi era in difficoltà. «In questi giorni si era presa a cuore una filippina di San Bovio con un tumore, 4 figli e niente soldi per pagare l’affitto». Il suo impegno la portò a essere insignita dell’Ape d’Oro. «Anni prima fu fatto il mio nome» rammenta il marito, «ma rifiutai: spiegai che le motivazioni erano da attribuire più a Grazia che a me. Non se ne fece nulla. Poi nel 2011 il sindaco Alessandrini decise che fosse giusto riconoscerle questi meriti e ci premiarono entrambi». Sono mille i ricordi che legano il nome di Grazia alla vita culturale, sociale e di beneficenza di San Felice, ma ci pare giusto chiudere con il ricordo dell’incontro con suo marito, raccontato proprio da quest’ultimo: «A quel tempo abitavamo a Genova. Insieme a un mio amico andammo a vedere un allenamento di basket femminile per fare conquiste. La vidi e le chiesi di uscire con me. Insomma, tutto nacque in quella palestra. In questi giorni di grande confusione mi è tornato alla mente un particolare: si trattava della palestra della scuola Diaz. So che è un paradosso, ma un luogo nefasto dove è stata scritta una delle più brutte pagine della storia italiana io lo associerò sempre a uno dei momenti più belli della mia vita».