28 Febbraio 2020

La notizia che a Codogno, Comune del lodigiano, era stato individuato il primo caso in Italia di coronavirus ha iniziato a circolare la mattina di venerdì 21 febbraio, ma già nella notte l’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, aveva diramato una nota in cui avvisava che le attività del pronto soccorso cittadino erano state momentaneamente interrotte, a livello precauzionale. Da quel momento è stata un’escalation di notizie, contronotizie, informazioni non verificate e via dicendo, sfociate domenica 23 febbraio in una giornata che passerà alla storia, una giornata di ordinaria follia.
Facciamo una premessa: non è nostra intenzione stabilire chi in questa vicenda abbia ragione e chi torto. Non siamo virologi (che peraltro stanno polemizzando tra loro) e neppure politici, costantemente informati sulla situazione e chiamati a prendere decisioni il più delle volte impopolari. Ci limitiamo a constatare come, ora dopo ora, la situazione sia sfuggita di mano e la gente sia entrata completamente nel panico, finendo con il prendere d’assalto i supermercati, manco fossimo davanti a una guerra batteriologica o a una carestia di proporzioni bibliche.
Già sabato mattina, quando si è venuti a conoscenza del fatto che i casi di contagio iniziavano a moltiplicarsi, i sindaci di Cernusco, Segrate, Peschiera e Pioltello hanno organizzato le loro rispettive task force con il compito di  monitorare l’evolversi degli eventi. E costantemente, sui social ufficiali dei Comuni, venivano forniti aggiornamenti. La giornata è scivolata via in maniera piuttosto tranquilla, basti pensare ad esempio che a Segrate, nel primo pomeriggio, si è tenuta la manifestazione all’aperto per l’arrivo della mega bottiglia eco sostenibile. In serata, anche se era trapelata la notizia che un caso di coronavirus si era registrato al San Raffaele (paziente però di Sesto San Giovanni), si era tenuto un vertice del Comitato ordine pubblico e sicurezza presso la prefettura di Milano, in cui si confermava che non erano state prese nuove disposizioni nell’area della Città Metropolitana. Tutti a nanna, senza avere l’idea del putiferio che sarebbe scoppiato da lì a poche ore. Già, perché la maggior parte della gente ha scoperto la mattina, ad esempio, che nella tarda serata di sabato il consiglio dei ministri aveva iniziato a decretare alcuni provvedimenti limitativi, tra cui la sospensione di tutte le attività sportive in programma domenica in Lombardia.
E, proprio domenica mattina, in prefettura si è tenuta una nuova riunione del Comitato di sicurezza. Intorno a mezzogiorno, la prima nota destinata a innescare i pericolosi germi non di coronavirus, bensì di (ingiustificato) panico: la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, nidi compresi, fino a sabato 29 febbraio. Pur predicando calma, la notizia che tutti i sindaci fossero stati convocati al Pirellone per un aggiornamento e per la presentazione dell’ordinanza di Regione Lombardia e del ministero della Salute relativa al contenimento e alla gestione dell’emergenza, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso del buonsenso. E così, nella seconda metà del pomeriggio, grazie a un tamtam incontrollato sui social, è passato il messaggio che fosse allarme rosso. Risultato: supermercati presi d’assalto, scaffali svuotati in pochissime ore di tutta la merce, gente che evita il più possibile contatti e strade deserte, stile ferragosto. Solamente in tarda serata l’ordinanza regionale è stata diffusa, e con essa sono arrivate una serie di polemiche. Già, perché tutte le restrizioni decise, erano chiaramente destinate a scontentare qualcuno e così è stato. Oltre a non essere state capite in toto, tant’è che sono servite continue precisazioni nei giorni successivi.