08 Febbraio 2019

Sandro Greblo ha presentato allo Sporting Club di Milano 2 il suo primo libro “Dal posto finestrino”; un lavoro che nasce come un diario scritto nei momenti, tanti e a volte particolarmente intensi, in cui la solitudine e la tensione diventavano urla represse o melodie da esprimere.
Classe 1977, scuole frequentate a Milano 2 fino alle medie, amicizie solide, nate all’asilo e mantenute anche dopo l’università (ovviamente l’ottima Bocconi), l’infanzia e l’adolescenza vissute in un quartiere prestigioso che ai tempi veniva considerato con ammirazione come l“esempio di un nuovo concetto abitativo”  e, soprattutto, l’amorevole presenza dei genitori, di una sorellina e dei nonni.
Quindi un “fortunato” ragazzo milanese che vive in pieno i magnifici anni Ottanta, un ragazzo che in seguito si sentirà spesso fare la stessa domanda “Ma chi te lo ha fatto fare?”.
Succede che durante una conferenza tenuta da Teresa Sarti, ex presidente di Emergency, nel 1999 presso la sede della Bocconi, dove Sandro frequenta la facoltà di Economia e Legislazione d’Impresa, la sua  attenzione viene catalizzata e, in seguito,  nel suo libro scriverà così: “…. quando ho sentito parlare per la prima volta del dramma delle mine antiuomo e delle conseguenze di questi ordigni su civili inermi in Iraq e Afghanistan (e, tutt’ora in molti altri Paesi), ho come avvertito una scossa lungo la schiena. Un richiamo, un campanello d’allarme che suona ogni volta che sento parlare delle vittime di guerre, malattie, povertà, e che, per fortuna, da allora, non ha mai smesso di funzionare”.
E quel richiamo lo porterà a fare la “scomoda” scelta di diventare un “cooperante”, e per 15 anni lavorerà per Emergency, la Fondazione Don Gnocchi, il Comitato della Croce Rossa Internazionale e Medici con l’Africa Cuamm. “Un percorso che parte dalla Svizzera e passa per l’Etiopia, l’Afghanistan, la Sierra Leone e, ovviamente , anche per l’Italia. Un continuo ripartire e riprovare, facendo leva sul desiderio latente, costante, di migliorare la condizione umana di chi è più svantaggiato, in un mondo che sia al tempo stesso compatibile con la cultura di riferimento e sostenibile per il futuro”.
Durante l’intervista Sandro appare tranquillo e i suoi occhi, dal taglio orientale, sono dolci e placidi.
Il termine “placido” penso sia il più calzante per questo giovane che racconta il suo percorso non da reduce, né da eroe ma da “conoscitore dei fatti”; lui ha visto, ha sentito, ha toccato il dolore fisico, la povertà vera, la disperata sensazione di impotenza di chi vorrebbe dare aiuto ma non è in condizioni di poterlo fare.
Nel libro ci sono alcuni passaggi di pura poesia, di nostalgica tenerezza, e quando chiedo a Sandro di parlarci di nonno Mario, i suoi occhi diventano velati ma il sorriso si illumina. Nonno Mario lo ha accompagnato  durante i suoi viaggi e, forse, nelle lunghe serate troppo presto buie a causa dello spegnimento dei generatori di corrente dalle ore 18 in poi, gli strappava un sorriso ricordando: “Le colonnine di duecento lire che teneva in mano e che faceva tintinnare per avvisarmi che era arrivata l’ora della sala giochi dopo la spiaggia; il commento del giornale che leggeva tutti i giorni; i pomeriggi in casa sua quando preparava, per me e la mia sorellina, il risotto giallo o le castagne; e la felicità che sprigionava quando sapeva che avevo preso un buon voto, vinto una partita o ero uscito con una bella ragazza”.
Inevitabile la domanda sul perché abbia scelto proprio quel titolo per il suo libro. “Il posto finestrino è quello da cui apprezzare meglio il paesaggio, quello privilegiato per poter contemporaneamente guardare fuori e dentro, quello in cui si gode della vista e ci si può lasciare andare a pensieri e riflessioni”.
Ho il libro pieno di post-it e le domande sono tante; la sala è piena più del previsto e sono tante le persone che hanno conosciuto un Sandro fanciullo, un ragazzo serio e rispettoso e oggi ascoltano attenti, a volte commossi, altre divertiti il racconto di 15 anni della vita di uno “dei nostri ragazzi” diventato un uomo.
Un uomo che nel libro si mette a nudo con le sue fragilità, le sue paure e le speranze spesso disattese ma mai naufragate; parla di un Dio in cui ha creduto e amato e che oggi gli sembra lontano, incapace di contrastare il male umano; parla dei suoi rientri in Italia e degli stridenti contrasti tra il mondo dei dimenticati e quello dell’egoismo annegato nel benessere e dedica il suo libro “a tutti i volontari che come me credono ( o hanno creduto) che si possa fare cooperazione in modo genuino e disinteressato e, in generale, a quelle persone che si impegnano ogni giorno per rendere questo mondo un posto più vivibile, equo e pacifico”.