29 Aprile 2016

Cutting, burning, branding, ovvero autolesionismo. È un fenomeno sempre più diffuso tra gli adolescenti grazie anche alla divulgazione di una serie di video sui social network come Facebook o su canali come youtube, in cui sono impresse immagini di ragazzi che mettono in atto pratiche di autolesionismo.
Ma  in cosa consiste in realtà?
L’autolesionismo è definito come un comportamento volto a procurare danni alla propria persona, indipendentemente dalla presenza o meno di intenti suicidiari.
Le più recenti  interpretazioni di questo termine definiscono infatti  l’autolesionismo come una patologia a sé stante,  distinta  dal tentato suicidio .
Nel nuovo DSMV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), a differenza della precedente edizione,  esistono quindi due differenti categorie diagnostiche: l’autolesionismo non suicidiario (ANS) ed il tentativo di suicidio (TS).
Gli atti autolesionistici possono includere tagli della cute, graffi, bruciature autoinflitte, come anche strapparsi i capelli o ingerire veleni o oggetti. Il tipo di lesione più frequente sono i tagli della cute, che possono essere superficiali o sufficientemente profondi da richiedere l’impiego di punti di sutura.
Quali sono le dimensioni del problema?
Le stime di questo fenomeno variano molto, poiché nella maggior parte dei casi gli atti di ANS non comportano la necessità di un ricovero per le ferite autoinflitte. A questo proposito è stato calcolato che solo un adolescente su 8 subisce un ricovero in ospedale a seguito di atti di ANS. Solitamente quando si arriva al ricovero l’atto autolesionista consiste nell’auto-avvelenamento, pertanto, tenendo presente che l’atto autolesionista più comune è il tagliarsi la cute, è ragionevole ipotizzare una marcata sottostima della prevalenza di ANS tra gli adolescenti.
Nonostante le difficoltà precedentemente descritte nel valutare accuratamente le dimensioni del problema, si calcola che circa il 10% degli adolescenti abbia sperimentato almeno un atto di autolesionismo, talvolta in associazione con intenti suicidiari.
Diversi studi mostrano inoltre che l’ANS in età adolescenziale è più frequente tra le femmine che tra i maschi. La fascia di età particolarmente a rischio per le femmine è dai 12 ai 15 anni: in questo range di età il rapporto di ANS tra femmine e maschi è di circa 5:1.
I dati relativi ad eventi di ANS nelle femmine con età inferiore ai 12 anni sono scarsissimi. Successivamente, dai 15 anni in poi, il rapporto di ANS tra femmine e maschi si riduce progressivamente, e si assiste ad un graduale incremento della frequenza nei maschi e decremento nelle femmine.
Non sono ancora noti i motivi per cui la frequenza di ANS aumenti o si riduca in alcune fasce d’età specifiche per maschi e femmine, tuttavia si ipotizza che il livello di sviluppo puberale svolga un ruolo fondamentale nella comparsa di disturbi della sfera emotivo-affettiva o nell’adozione di comportamenti a rischio.
Gli adolescenti affetti da ANS  riferiscono inoltre di mettere in atto questo tipo di comportamento per autopunirsi  o per trovare sollievo quando sono sottoposti ad una forte tensione emotiva.
La reiterazione di atti di ANS negli adolescenti è molto comune, sia in concomitanza di particolari eventi stressanti, sia come routinaria strategia di coping.
Uno studio condotto su 2410 adolescenti ha infatti rilevato che il 55% delle femmine ed il 53% dei maschi ha sperimentato eventi multipli di autolesionismo, mentre un altro studio, condotto in Inghilterra in un ospedale generale su un campione di 1583 adolescenti ricoverati per un atto di ANS, ha evidenziato che nel 15% dei casi l’episodio autolesionistico si ripete a meno di un anno dal ricovero. La ripetizione dell’atto autolesionistico è più frequente tra coloro che si tagliano rispetto a coloro che si avvelenano.
Quali sono i fattori di rischio?
La presenza di sindromi depressive, l’abuso di alcool e l’inizio dell’attività sessuale sono fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo dell’ANS.   Inoltre l’essere affetti da depressione maggiore, essere stati vittime di abusi sessuali, essere stati testimoni di atti autolesionistici, avere incertezze riguardo al proprio orientamento sessuale sono fattori predittivi di reiterazione degli atti autolesionistici (in adolescenti con orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale la frequenza degli atti autolesionistici è 6 volte superiore rispetto a quella negli adolescenti eterosessuali).
Alcune caratteristiche della personalità possono predisporre maggiormente l’adolescente all’ANS o potenziare l’effetto stressogeno di alcuni eventi negativi della vita (es. morte prematura di un genitore, assistere ai violenti litigi dei genitori). In particolare uno spiccato perfezionismo, una marcata impulsività, l’isolamento sociale e la presenza di una relazione genitore-figlio disfunzionale, possono esporre il soggetto alla messa in atto di comportamenti autodistruttivi. Sembra inoltre che l’essere stati oggetto di atti di bullismo sia uno dei fattori predisponenti da tenere in considerazione, anche se non è tutt’ora chiaro se gli atti di bullismo perpetrati on line e quelli perpetrati faccia a faccia abbiano ruoli diversi nello sviluppo dell’ANS.
Quale significato hanno gli atti di autolesionismo?
Innanzitutto qualunque condotta autolesionistica consente di spostare la propria attenzione sul dolore fisico, non occupandosi di quello emotivo, da cui alla fine genera tutto.
Nella maggioranza dei casi, è proprio l’impossibilità di dar voce alla propria sofferenza interiore all’origine di questa pratica. L’adolescente è assalito da un’angoscia che non riesce a comunicare; aggredisce il suo corpo perché ha l’impressione che questa pratica lo calmi. Il sentirsi soli, non avere un luogo dove rifugiarsi nei momenti difficili, di tristezza, di rabbia o di solitudine: il ferirsi diventa la miglior strategia usata per scaricare la tensione insopportabile provocata da questi stati d’animo, o per illudersi di poterli controllare anziché esserne travolti. Subito dopo essersi feriti, la sensazione provata è di sollievo, di pace, di liberazione. Ma, queste emozioni positive, subito dopo cedono il passo a quelle negative tra cui emergono il rimorso e la vergogna.  Sentirsi sollevati dal dolore emotivo o dal vuoto, anche solo per pochi momenti, induce la persona a ferirsi nuovamente. Si installa, in questo modo, un circolo vizioso simile a quello della dipendenza, dove l’emozione positiva provata funge da incipit per il comportamento autolesivo successivo.
La pubertà, a causa degli sconvolgimenti fisici che produce nell’adolescente, lo rende estraneo al proprio corpo del quale il giovane cerca di riappropriarsi attraverso la scarificazione. Il dolore fisico è infatti più sopportabile del dolore psichico.
A questa pratica può anche essere associato il bisogno di autopunirsi, soprattutto nelle ragazze: quando non si amano o pensano di non essere amabili, è facile che le ragazze indirizzino questa negatività contro loro stesse e che si infliggano un dolore, tale e tanto è il senso di vergogna che provano.
Tra le cause responsabili, il bisogno di appartenenza: nel disturbo identitario di cui soffre l’adolescente, la scarificazione offre la possibilità di appartenere a un gruppo. A tale proposito, gli effetti di Internet su questo fenomeno non sono trascurabili. Questo comportamento a rischio è sempre più manifesto su Internet, dove sempre più adolescenti sofferenti esprimono sulla Rete il loro malessere. Un’iniziativa che può sembrare positiva. Ciò che lo è meno, è l’effetto di emulazione che possono suscitare questi siti: infatti, gli adolescenti pubblicano commenti online su “come praticare la scarificazione” e a volte postano addirittura dei video. Insomma, altrettanti elementi che possono stimolare alcuni giovani a passare all’atto pratico, quando magari da soli non lo farebbero.
Un senso di profondo vuoto interiore, soprattutto nei gravi disturbi di personalità e negli stati dissociativi dovuti a gravi traumi o abusi. La pratica di ferirsi diventa un’esperienza che riconnette con la vita: la vista del sangue e la sensazione dolorifica del corpo riconduce alla realtà dopo che la mente, ferita e traumatizzata, si stacca dall’esperienza attuale.
Quindi, pensare di smettere di tagliarsi richiede un enorme atto di volontà, derivante indubbiamente da un aiuto proveniente da un esperto, che possa portare a trattare la sofferenza con altre modalità. Una tra tutte è  imparare a gestire e tollerare la rabbia provata, la frustrazione e la solitudine, senza agire contro se stessi.
Esistono dei segni inequivocabili, che fungono da campanello d’allarme?
■ portare maniche lunghe anche fuori stagione o vestiti eccessivamente coprenti anche se non necessari;
■ macchie di sangue sui vestiti;
■ Isolamento, passare molto tempo chiusi in camera o in bagno;
■ avere accesso a molti oggetti acuminati o lamette, pezzetti di vetro o di ceramica, coltellini;
■ eccessiva irritabilità, rabbia frequente, agitazione e scarso controllo di forti emozioni.
Aiutare una persona che mette in atto gesti autolesivi è un percorso lungo e doloroso. È fondamentale in questo iter non criticare mai, non colpevolizzare o mortificare. La cosa fondamentale è far capire all’adolescente che può essere sostenuto e supportato, capito e riconosciuto.
Per le madri, scoprire che i figli si scarificano è pressoché insopportabile: hanno come  l’impressione di vivere questa automutilazione sulla loro pelle, e le reazioni che hanno rischiano di essere per questo  inadeguate  Alcuni genitori possono invece interpretarlo come una provocazione. Altri rimangono raggelati, sconcertati del fatto che capiti proprio a loro, mentre altri ancora sono sopraffatti da angoscia che  trasmettono al figlio, a cui non è di alcun aiuto avvertire anche l’angoscia del genitore insieme alla propria. Un agito autolesionistico  è, infatti,  il modo attraverso cui l’adolescente cerca di comunicare: sta tentando di dar voce a un malessere interiore che non è in grado di esprimere... per questo è importante farsene carico in tempo per evitare che il problema assuma proporzioni ben più grandi.
È necessario che i genitori trovino il momento giusto per intavolare una discussione,  dicendo di essersi accorti dei tagli e di volerne parlare, per aiutarli ed  evitando  soprattutto di proiettare la propria angoscia esordendo  con frasi come: Perché mi hai fatto questo?”. Avviare il dialogo non sarà certo facile, perché questi adolescenti hanno spesso  un atteggiamento contraddittorio: se da un lato, infatti, lanciano una richiesta di aiuto, dall’altro si stanno rendendo autonomi e devono separarsi dal genitore.
In un secondo tempo, “è necessario rivolgersi ad uno specialista che aiuti ad   elaborare ciò che  sta accadendo e ne restituisca una visione più strutturata, dando “parole” al dolore.
Quali approcci sono efficaci nella cura dell’ANS?
Attualmente è ancora aperto il dibattito su quale sia il modo migliore di curare l’ANS. La terapia farmacologica con antidepressivi comporta diversi rischi, tra i quali un aumento del rischio di suicidio nelle prime fasi dell’assunzione del farmaco, soprattutto nelle fasce di età più basse. Tuttavia alcuni recenti studi mostrano che il beneficio ottenuto attraverso la somministrazione di antidepressivi inibitori selettivi del re-uptake della serotonina possono superare i rischi che questa terapia  comporta. Inoltre l’impiego della terapia cognitivo-comportamentale o della psicoterapia psicodinamica  si è dimostrato più efficace rispetto al solo impiego della fluoxetina e l’adozione di metodiche di tipo psicologico appare potenziare l’effetto della terapia farmacologica.
Quali sono le possibili strategie preventive?
Gli interventi preventivi sono indirizzati a 2 target di popolazione: gli adolescenti in generale e gli adolescenti a rischio. L’obiettivo principale è quello di creare nella comunità la consapevolezza del problema e, contemporaneamente, stimolare gli adolescenti a chiedere aiuto. A questo riguardo la diffusione delle informazioni nelle scuole riveste un ruolo fondamentale. L’Infermiere Scolastico, figura presente nella maggior parte delle realtà del mondo anglosassone ma non ancora in Italia, potrebbe costruire specifiche campagne informative allo scopo di eliminare lo stigma ed i più comuni pregiudizi legati all’ANS sia nella popolazione studentesca che tra insegnanti e genitori.
Inoltre, per facilitare l’accesso dei giovani agli strumenti di aiuto, in molte scuole sono previsti dei punti di ascolto ai quali il giovane può rivolgersi direttamente trovando personale appositamente formato.
Dall’altro lato gli insegnanti ed i genitori dovrebbero essere sufficientemente informati al  pronto riconoscimento dei sintomi dell’ANS.
Altre strategie comprendono l’istituzione di numeri verdi attivi 24h su 24 ai quali l’adolescente può rivolgersi direttamente ed autonomamente in qualsiasi momento e l’istituzione di specifici siti internet dove trovare un primo aiuto.
Questi adolescenti vanno sostenuti nel comprendere le proprie emozioni ed il proprio dolore  attraverso la parola e non l’atto. Accogliere e ascoltare l’adolescente che compie gesti autolesivi significa attenderlo nella sua verità, seppure questa si presenta incarnata ed “insegnargli “ a comunicare mediante il linguaggio anziché in un corpo a corpo.
Solo così  al giovane uomo o alla giovane donna verrà resa la consapevolezza della propria esistenza di individui separati e, soprattutto, la libertà di riconoscersi in quanto tali.

Dott.ssa Simona Siani, Medico Chirurgo Neuropsichiatra
Psicoterapeuta
bambini e adulti
Consulente del Tribunale
Criminologa
sasperl@gmail.com