Cari lettori e lettrici,
è da poco trascorsa la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il 25 novembre. In quei giorni molte testate giornalistiche e mass media hanno affrontato il tema della violenza di genere che, oggi, rimane un argomento ancora troppo attuale. Si pensa che, in una cultura dell’uguaglianza e meno patriarcale come la nostra, le modalità relazionali caratterizzate dall’esercizio della forza (non solo fisica..) all’interno di una relazione siano superate e presenti solo in rare eccezioni, pensandole solo all’interno di contesti socio-culturali degradati. Purtroppo i dati statistici rivelano come la violenza di genere è ancora molto presente all’interno della nostra società.
Nel mio lavoro, nell’ambito della tutela del minore, le situazioni che giungono all’attenzione dei servizi sociali a seguito della presenza di forme agite di maltrattamento, in particolare fisico, all’interno della relazione di coppia con figli minorenni sono ancora tante. Per riferirsi alle esperienze traumatiche vissute dai figli cresciuti in queste famiglie, si usa il termine di violenza assistita. Il CISMAI, ovvero il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, inquadra come violenza assistita “qualsiasi atto di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica compiuta su una figura di riferimento o su altre figure significative, adulte o minori; di tale violenza il bambino può fare esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti”.
La condizione dei figli è particolarmente penosa, dove anche l’età e le risorse individuali rappresentano variabili importanti, sia per la comprensione di quello che sta succedendo intorno a loro, sia per la capacità di reagire e trovare strategie di sopravvivenza o di ricerca di aiuto all’esterno ( scuola, famiglia allargata come nonni, zii, se protettivi). I figli che crescono in nuclei familiari altamente conflittuali e maltrattanti possono sentire il rumore delle percosse, la rottura di oggetti, le urla, le minacce, gli insulti e le umiliazioni, i pianti disperati. Possono percepire la tristezza, la rabbia, l’angoscia, la disperazione, la paura e il terrore della vittima, che molto spesso è la propria madre. I figli possono assistere come semplici osservatori o, a un certo punto, diventare loro stessi l’oggetto del maltrattamento.
I bambini non sono solo testimoni di fronte ad episodi di violenza domestica. Sono loro stessi vittime: gli attacchi alle proprie figure di riferimento minano fortemente lo sviluppo del sè e della competenza sociale. I bambini che crescono in contesti familiari violenti, all’esterno delle loro abitazioni appaiono sempre in uno stato di allerta, preoccupati, poichè è minato il loro senso di sicurezza e protezione. In particolare, quando le modalità conflittuali e/o violente sono frequenti all’interno della coppia, nel bambino si genera confusione: vede le proprie figure di attaccamento da un lato terrorizzate, impotenti e disperate (la vittima), dall’altro pericolose e minacciose (il maltrattante). Tale stravolgimento nella relazione con i propri genitori mina il legame di attaccamento, relazione all’interno della quale il bambino deve sentirsi sicuro e protetto, trovando soddisfazione ai bisogni di accudimento. Si tratta di un’esperienza altamente dolorosa e sconvolgente per il bambino, che ha effetti importanti sul legame di attaccamento generando una disorganizzazione di quest’ultimo. Questi bambini sono deprivati sia a causa delle condizioni di precario equilibrio psico-fisico materno sia per le ricadute del maltrattamento sulle modalità educative e sull’esercizio delle funzioni genitoriali.
I figli di queste coppie non solo vivono e percepiscono il malessere psichico del genitore vittima di violenza, ma anche le modalità prevaricanti di chi agisce maltrattamento e la rabbia sottostante.
Gli effetti della violenza assistita si rilevano sia a breve che a lungo termine. In particolare, se lo “stile famigliare violento” diventa una modalità pervasiva e prevaricante questa influenza le relazioni e il pensiero causando una distorsione dell’apprendimento, dello stare insieme e dei significati. Possiamo trovare bambini arrabbiati, impulsivi e reattivi, distratti, immaturi o irrequieti. Nel corso della crescita si riscontrano difficoltà nel rispondere adeguatamente ai compiti evolutivi, incapacità a relazionarsi adeguatamente al gruppo dei pari, rifiuto o isolamento, abuso di droghe o alcol, agiti antisociali, aggressività verso gli altri o verso gli animali. Le conseguenze sullo stato di benessere dei figli sono evidenti anche sul piano fisico: molti bambini e adolescenti, cresciuti in contesti come quelli sopra rappresentati, presentano comportamenti regressivi, sono impacciati dal punto di vista motorio, hanno difficoltà nel sonno (incubi, alterazione del ritmo sonno-veglia…) o disturbi alimentati (comportamenti restrittivi, anoressia, bulimia…). Dal punto di vista cognitivo possono rilevarsi ritardi nello sviluppo del linguaggio, difficoltà negli apprendimenti, o un calo del rendimento scolastico.
Il mondo emotivo interno di questi bambini è fortemente disturbato, confuso e di difficile accesso, caratterizzato dalla presenza di ansia, depressione, rabbia, autostima deficitaria, inquietudine. Vi possono essere senso di impotenza, fughe in mondi fantastici, idee autolesive, fino a intenzionalità suicide.
Proprio perchè la violenza tra i genitori all’interno di un nucleo familiare non è un fenomeno che riguarda solo gli adulti, ma ha effetti gravemente dannosi sui figli, è importante riconoscere quando, come adulto e genitore, ci si trova all’interno di una relazione di tipo maltrattante. Come vittima è possibile rivolgersi ai numerosi centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale, il numero telefonico per richiedere aiuto, gratuito e attivo 24h su 24, è l’1522. Come maltrattante è ugualmente possibile richiedere aiuto. Esistono, infatti, centri che si occupano della presa in carico di uomini autori di comportamenti violenti all’interno delle relazioni affettive.
Se siete a conoscenza di una relazione violenta, o se voi stessi la state vivendo in prima persona, ricordatevi che è sempre possibile chiedere aiuto per voi, per i vostri figli, e per i vostri familiari, rivolgendovi alla rete dei servizi o a un professionista psicologo che saprà aiutarvi a scegliere la migliore via di trattamento, aiuto e sostegno.
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