Un borgo antico riparato dalla città da stradoni periferici e binari, questa è l’Ortica, il quartiere dove sono cresciuto e che torno oggi ad attraversare per consegnarvelo un po’ avvolto nei ricordi e già proiettato nel futuro.
Tra casermoni, piccole case di campagna e cortili di ringhiera, l’Ortica si offre ai visitatori come un profilo interrotto, discontinuo e sospeso tra relitti e trasformazione. Quartiere silenzioso, riservato, concreto, dai cui margini dipartono lunghe strade che si perdono nelle campagne o verso il centro, in ogni caso spezzate da cavalcavia, angoli di desolazione, discariche a cielo aperto, sottopassi e mura dipinte con animali totemici che sovrastano il visitatore come cupi guardiani dei passaggi. Io sono nato all’Ortica, periferia Est di Milano, quartiere che prende il nome da un’erba che cresce tra le macerie e lungo i cigli delle strade, e le cui molteplici proprietà e benefici fanno presto dimenticare il suo più grande difetto. Da bambino dalle finestre di casa (al quinto piano di un palazzo degli anni Settanta) guardavo passare i treni diretti a Venezia, e seguivo le auto che correvano verso il centro della città, e le due direzioni opposte mi restituivano le molteplici possibilità del viaggio. Oggi dal balcone di casa vedo la facciata dipinta dedicata del caseggiato che è sempre stato il centro delle attività politiche e sociali del quartiere; un murales dai toni caldi raffigurante i volti dei soci cooperatori di primo novecento con le insegne di Marx e di Cristo che fondono le due tradizioni: socialista e cattocomunista. Questo murales fa parte del progetto ORME, Ortica Memoria, un vero e proprio museo a cielo aperto, accessibile a tutti a cui dedico questa passeggiata. Artisti, intellettuali, patrioti, sportivi, lavoratori. Poeti che in queste strade sono nati o che di questi luoghi hanno cantato i personaggi e le storie. I muri dell’Ortica parlano, raccontano, citano, illustrano, insegnano, celebrano, ricordano. La follia della guerra, i diritti delle donne, le conquiste dei lavoratori, il pensiero di politici illuminati, citazioni di intellettuali, esempi di coraggio, l’eredità e il valore della storia, valori solidali e tanta lotta: per i diritti delle minoranze, contro il razzismo. Io cammino avanzo prendo nota, incontro, leggo e saluto dal primo all’ultimo i personaggi raffigurati su questi muri (Alda Merini, Dario Fo, Enzo Jannacci, Antonia Pozzi). Strana dimensione questa dell’Ortica: riparata, chiusa su se stessa e al tempo stesso scoperchiata, dissestata e preda di cementificatori deliranti che rimpiazzano le vecchie fabbriche con nuove costruzioni appoggiate nel nulla. Per me che ci sono cresciuto di ogni angolo conservo un ricordo: il profumo dei panettoni in estate dallo stabilimento de “Le Tre Marie”, i “prestinai” Seghizzi, il giornalaio dove compravo il Corriere dei Piccoli, il lattaio, le sorelle ortolane, il bar di via San Faustino piuttosto malfamato, e il forno a legna della storica pizzeria de L’Ortiga. Questa atmosfera di paese dimenticato, le trattorie tipiche, i murales… ecco alcuni motivi per visitare l’Ortica in un tranquillo pomeriggio estivo, magari in un giorno di festa, quando l’afa si placa e nel silenzio si possono ascoltare i muri. Perché i muri dell’Ortica nono sono muti testimoni della storia: assorbono, vedono e parlano. Basta saperli ascoltare.
Roberto Spoldi