2018-09-21

Non parlate a Roberto Boesi di organizzazione di volontariato, perché quella che ha messo in piedi, e che gestisce da molti anni, è una vera e propria rete solidale. Classe 1972 e originario di Milano Due, Boesi attualmente insegna matematica e scienze in una scuola media, ma da quasi 20 anni vive dividendosi tra l’Italia e il Nepal, promuovendo numerose attività di crescita e sostegno sociale. «Nel 2000 facevo il ricercatore in università ed ero in Nepal per occuparmi di progetti scientifici di conservazione anche per organizzazioni internazionali», racconta il docente. «È stato lì, in un Paese che vive uno stato di estrema povertà, che ho deciso di avviare dei progetti di aiuto per i suoi villaggi. Ci siamo subito occupati della scuola di Bhalaya Danda, nel distretto di Rasuwa, insieme ad altri insegnanti e amici del luogo. In seguito abbiamo svolto lavori infrastrutturali, abbiamo operato nelle cliniche garantendo nuove strumentazioni, materiali e medicinali, e infine ci siamo occupati di raccogliere fondi per pagare i libri e gli stipendi degli insegnanti. Il tutto con la completa collaborazione degli autoctoni, ovviamente».
Così, da quella prima esperienza del 2005, il giovane professore non si è più fermato. In poco tempo si è accorto che molti europei andavano in Nepal per i più svariati motivi e un’alta percentuale si fermava in quegli stessi villaggi a dare una mano. «È nato tutto così, quasi per gioco», continua Boesi. «Le persone hanno iniziato a restare per settimane o anche per mesi, e la rete di conoscenze si è infittita sempre di più. Abbiamo iniziato a indirizzare i volontari nelle case dei locali, dove potevano vivere da ospiti pagando una quota giornaliera di pochi euro. Nel frattempo ci si occupava dei vari progetti, in base alle esigenze e alle forze di chi veniva ad aiutare. A questo proposito devo dire che non ho mai visto nessuno tirarsi indietro». Così si è creata una relazione stabile tra chi viaggiava in Nepal, e veniva coinvolto nei progetti del segratese, e la popolazione locale, che nel frattempo ha dovuto affrontare anche il dramma del terremoto. La rete ha iniziato a prendere una forma sempre più organizzata, con orari di assistenza nelle scuole ben precisi.
«Grazie alle nostre esperienze nell’ambito dell’istruzione abbiamo potuto impostare dei programmi ben strutturati in scuole che garantiscono ai volontari anche il rilascio di una certificazione di volontariato», spiega il docente. «Ci tengo a precisare un aspetto: questa cosa, nata tra amici, è diventata un progetto molto importante anche grazie alla sua natura non convenzionale. Infatti, noi non chiediamo soldi a chi viene ad aiutarci, ognuno pensa al suo volo e al visto. Il nostro compito è quello di indirizzarli una volta che arrivano sul posto e di presentarli agli amici nepalesi e agli altri volontari. Il problema delle organizzazioni classiche è che sono poco accessibili e chiedono un sacco di denaro per poter partecipare alle campagne. Il nostro, invece, è solo un viaggio con cui ci si mette a disposizione di un popolo che ha bisogno di aiuto. Viviamo col passaparola tra i volontari, siamo semplici amici che investono in relazioni umane e cercano i mezzi per realizzare progetti concreti. Ci si aiuta tutti, volontari, autoctoni, bambini, artigiani, insegnanti e locali in stato di povertà. Siamo l’esempio che non serve un’organizzazione burocratica troppo forte alle spalle per fare del bene». Speriamo che, anche grazie ai social network e al sito internet tuttonepal.com, questa splendida avventura possa durare ancora a lungo.
Mattia Rigodanza