2019-06-28

Bastava vedere il numero delle persone presenti al centro civico Verdi, per comprendere che lei qui è di casa. Stiamo parlando di Rosa Teruzzi, giornalista, attualmente caporedattore alla trasmissione di Retequattro “Quarto grado”, e scrittrice che ha presentato il suo nuovo romanzo “Ultimo tango all’Ortica”. E con lei abbiamo fatto una lunga chiacchierata.
Qual è il tuo rapporto con Segrate?
«Qui ho anche lavorato, insieme al giornalista Fabrizio Scaglia. Quindi conoscevo già la realtà di Segrate che si è consolidata negli anni, in particolare grazie al rapporto sviluppato con l’associazione D come Donna. E tra i suoi promotori c’era anche l’indimenticato Luigi Favalli, con cui avevo fatto un corso di scrittura creativa. In passato ho anche vinto un concorso di racconti con D come Donna, e da allora, ogni volta che pubblico un libro, vengo invitata. È sempre una bella festa tra amici».
Hai accennato a Fabrizio Scaglia. Sai che è stato il fondatore di inFolio? Mi dai un suo ricordo?
«Un vero signore. A “La Notte” lavorammo insieme per un tempo brevissimo, eppure quando la testata chiuse, come già detto, mi diede una mano e mi portò a lavorare con lui, dandomi fiducia. Una cosa che apprezzai molto. Ho solo bellissimi ricordi. Una persona colta e appassionata di cronaca, un grande capocronista. Provavo un grande rispetto per lui».
Da esperta di cronaca nera quale sei, com’è cambiato il mestiere di nerista in questi anni?
«In realtà è un passaggio che io ho avvertito meno, lavorando a un programma come “Quarto grado”, dove vale ancora la regola che i casi si seguono anche per anni. Il cronista dei quotidiani sicuramente ha modificato il suo modo di lavorare, ma qui da noi si prosegue alla vecchia maniera: studiamo i documenti, le testimonianze, le intercettazioni. È un modo di lavorare affidabile».
Qual è il caso che non scorderai mai?
«Ce ne sono alcuni, e non sono tra i più famosi. Ricordo l’omicidio di un uomo a Milano, quando si scoprì che la proprietaria di una casa di appuntamenti lo fece ammazzare perché lo riteneva responsabile di una serie di violenze nei confronti della nuora. In seguito, però, emerse anche il commercio di una bambina. Ero giovane, e quel caso mi colpì molto. Ricordo ancora la foto della bambina di spalle, tenuta per mano da un carabiniere. Rammento anche la vicenda del mostro di Foligno, con un giovane innocente che si autoaccusò. Certi risvolti psicologici mi colpiscono e mi inquietano. Più recentemente, con “Quarto grado”, direi l’omicidio di Yara Gambirasio e la presunta morte delle gemelline Shepp. Ecco, dove ci sono bambini è difficile non rimanere coinvolti».
Quali differenze principali trovi tra la carta stampata e la televisione?
«Sono sicuramente due mezzi di informazioni diversi. La tele ha il vantaggio delle immagini, la carta stampata ha un tempo di sedimentazione della notizia più lungo. Però io sono scrittrice, e la parola è fondamentale. Ed è quello che cerco sempre di valorizzare, anche in televisione».
Come nasce Rosa Teruzzi scrittrice?
«Sono sempre stata una grande lettrice e ho sempre desiderato fare la scrittrice, solamente che non credevo a fondo nelle mie capacità. Pensando che non si potesse vivere facendo questo mestiere, mi sono messa a fare la giornalista. Poi, con il passare del tempo, mi sono sentita più forte, ho acquisito fiducia e ho finalmente pubblicato un libro. Ma fin da giovane ho sempre scritto racconti. Uno di questi fu anche selezionato per un’antologia curata da Tecla Dozio e Andrea Pinketts».
E i tuoi personaggi, come nascono? Mi pare di capire che non li tieni in rigidi schemi prestabiliti...
«All’inizio facevo una scaletta precisa dei miei libri e poi li scrivevo seguendola. Sveva Casati Modignani, però, mi diede un consiglio: sosteneva che ero già ordinata di mio, per la mia formazione giornalistica, e la scaletta rigida non era un procedimento adatto a me. Mi ha sempre detto: “Se non ti diverti e ti annoi a scrivere dei tuoi personaggi, annoierai anche i lettori. Devi essere tu la prima a sorprenderti”. Così ho cambiato metodo. Ora i miei personaggi sono più liberi, a volte non so dove andranno a parare. E ho scoperto che funziona. È anche una questione di fiducia acquisita, che mi permette di rischiare di più. Adesso le mie storie sono come una torta: le lascio lievitare».
I tuoi libri sono molto legati a Milano. Hai mai pensato di scriverne uno con un’altra ambientazione?
«Milano è protagonista principale nei miei romanzi, perché è il terreno dove mi muovo a memoria, anche se ho anche scritto brevi passaggi in altre zone, come Pasturo, il lago di Como, il Friuli e la Calabria. Il prossimo libro ho intenzione di ambientarlo a Colico, una zona che comunque conosco benissimo. Non escludo che un giorno porterò i miei personaggi altrove, ma devo sempre avere una certa cognizione dei luoghi. Nelle pagine si deve sentire il respiro del posto dove ambiento i miei romanzi».
E scrivere qualcosa che non sia un giallo?
«Ogni volta che mi metto a scrivere un libro, finisco, anche non volendo, verso il filone giallo. Ammetto che è un mio limite, ma non è detto che continui a esserlo. Forse è anche una questione di tempo: il giornalismo ne assorbe tantissimo e i miei personaggi avrebbero, magari, bisogno di più attenzioni per uscire dal genere. Però mi affascina l’idea di scrivere un romanzo di formazione o storico. Potrebbe accadere un giorno, non me lo precludo assolutamente».
Un’ultima cosa: hai mai pensato di lasciare il giornalismo per fare la scrittrice a tempo pieno?
«Ogni giorno della mia vita. È il mio piano A. Lo dico senza problemi: vorrei vivere facendo la scrittrice. Fino a quando, però, scrivere libri non mi permetterà di mantenermi, devo rimandare. Faccio tutto con estrema coscienza».