«All’interno dell’amministrazione serve il lavoro del nostro partito». «Non faremo mai un coordinamento a porte chiuse». «Mi sono ritirato dalle primarie perché solo Micheli poteva vincere le elezioni».

2015-10-22

Vuole riprendere da dove ha lasciato. Damiano Dalerba era il segretario cittadino uscente del Pd «Prima che io lo facessi commissariare» ci tiene a precisare, e lo scorso sabato al congresso è staro rieletto con un plebiscito. Nei numeri, sia chiaro. Perché quel 96 per cento (63 voti a favore e 2 astenuti) sa benissimo anche lui che non rispecchia il vero pensiero dei tesserati.
Allora, alla fine ce l’ha fatta a essere rieletto...
«Già, e sono contento. È stato un bel congresso, sul mio nome c’è stato molto consenso e anche qualche critica, ma ci stanno. Sarebbe la fine se non ci fossero. Comunque è andata bene, meglio di come pensassi».
Un risultato da percentuali bulgare. Non vorrà dirmi che davvero il 96 per cento dei democratici segratesi sta dalla sua parte?
«Chiaramente no. Sono consapevole che c’era fosse chi non era d’accordo sul mio nome. Come in tutti i congressi dei partiti. Sfatiamo il mito che solo su di me ci sia questa contrarietà. Comunque, tornando al ragionamento della percentuale bulgara, credo che chi non mi voleva abbia fatto la scelta precisa di non contarsi. Mi pare normale. Se vogliamo la stranezza, o debolezza che sia, sta nel fatto che non è stato presentato un avversario da contrappormi. Per il resto mi pare di vedere un calcolo politico di non voler rischiare leggendo i numeri finali».
Quindi nessuna percentuale bulgara?
«No. solo un alto numero di votanti a mio favore. Gli aventi diritto al voto erano un centinaio, qualcuno non si è presentato forse per non votarmi o forse per altri motivi. La minoranza interna al partito comunque era presente, è intervenuta e ha partecipato. Alla fine però ha preferito uscire e non votare».
Circa sei mesi fa lei si propose alle primarie per la candidatura di sindaco e poi si ritirò. Anche lei preferì non contarsi?
«Per nulla. Vincere le primarie è facilissimo, ma non avrei mai vinto le elezioni. Micheli era in grado di farlo e per quello mi ritirai».  
Ma allora perché si candidò?
«Quando lo feci, nessuno voleva presentarsi e, devo essere sincero, mi scocciava non potere portare avanti il mio programma da segretario del Pd. E così, forte di un numero elevato di persone che mi avevano spinto, mi candidai. Appena però è uscito anche il nome di Paolo mi sono fatto da parte. Era l’unico che poteva davvero farci vincere».
Come pensa di gestire le minoranze interne al Pd?
«Coinvolgendole da subito in tutte le iniziative. Il 100% del coordinamento, dove troviamo tutti gli assessori in forza al nostro partito, è formato da miei sostenitori. Tuttavia proprio per tutelare queste minoranze, e non mi importa quante persone siano, non ci sarà mai una riunione del coordinamento chiuso. Inoltre alcuni che non la pensano come me hanno competenze specifiche e penso che debbano essere valorizzati al massimo. Ripeto sempre un concetto: sono più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono».
Da quale punto del suo programma interrotto intende ripartire?
«Il punto focale era che il centrosinistra vincesse le elezioni. A questo punto il nuovo obiettivo è governare bene per cinque anni. In particolare credo che in questa fase ci sia bisogno di me per avviare nel migliore dei modi il lavoro del Pd all’interno dell’amministrazione e non credo serviranno cinque anni. Infatti tra due ci sarà il nuovo congresso del Pd e ho già dichiarato che non mi ricandiderò, e aggiungo che in questi due anni vorrei sviluppare una classe dirigente che sia pronta per il prossimo congresso».
È stata una campagna elettorale molto aspra e lei è stato spesso in prima fila. Se la sente di ammettere qualche errore?
«Errori ne faccio e ne farò sempre, ci mancherebbe. Forse è vero, in campagna elettorale a volte ho alzato i toni in maniera eccessiva ed è uno dei punti su cui sono maggiormente criticato da chi non mi voleva segretario del partito. Però sono convinto che il Pd a Segrate avesse bisogno di un atteggiamento così forte. Lo chiedevano i suoi elettori. Sa quante volte mi sono sentiro rinfacciare l’inciucio con Alessandrini? A me, che non c’ero neppure in quel periodo. Dovevamo smarcarci da quelle scelte, ribadire che noi eravamo alternativi. Ed ecco che alzare i toni a volte è stato un attimo. Però ci tengo a sottolineare che non ho mai insultato nessuno e neppure detto falsità».
Quale giudizio mi dà di Micheli?
«Mi ripeto: era l’unico che poteva portarci alla vittoria. È un segratese vero ed è quello il suo punto di forza. Quando parla della sua città si percepisce l’affetto che prova».
Come giudica la sua partenza?
«Entrare in un posto dove non ci sei presente da vent’anni non è semplice. Non sai cosa trovi e che accoglienza avrai. Temi possa esserci diffidenza verso di te. Tuttavia lui l’ha fatto con il sorriso. È partito davvero bene, senza alcun timore».
E di questa giunta cosa possiamo dire? Tutti bravi e belli?
«Nessun assessore aveva mai ricoperto quel ruolo e questo mi preoccupava. Ma in consiglio comunale fino ad ora ne ho sentiti parlare tre, Bosco, Stanca e De Lotto e sono più bravi di quanto mi immaginassi. Non è facile spiegare certi tecnicismi a chi non fa politica, ma loro hanno dimostrato di essere capaci. Gli altri quattro li misureremo nel tempo e sul campo».
Proprio tutto perfetto? Neppure una piccola critica?
«Se Micheli non inizia a indossare la cravatta negli appuntamenti istituzionali me lo mangio vivo».
E al di là delle battute?
«È ancora presto, direi. Per ora non ho nulla da rimproverare a lui e alla sua giunta».
Con così tanti consiglieri il Pd non ne aveva uno da proporre come presidente del consiglio?
«Ne avevamo più di uno. Però il sindaco ha proposto Viganò perché lo riteneva una persona di garanzia per tutti, anche per la minoranza, e non c’era un motivo valido per andare contro a questa soluzione. Peraltro alla prova dei fatti Viganò si sta comportando davvero bene».
Rapporti con Segrate Nostra: non mi dica tutto rose e fiori...
«Da tre anni in consiglio comunale mi siedo accanto al loro segretario, Marco Italia, e ragioniamo insieme. Sono i nostri cugini. Abbiamo rapporti cordiali. Poi magari capiterà anche di litigare su alcuni temi, ma la base del nostro rapporto è formata da una stima solida».
Nella coalizione c’era anche Sel che è rimasta fuori dal consiglio comunale. Il Pd  porterà la sua voce nelle sedi ufficiali?
«So che il sindaco li sta coinvolgendo ed è lui l’uomo di sintesi. Noi dobbiamo fare il Pd. Se metteranno sul tavolo temi che condividiamo non avremo comunque problemi a portarli avanti anche noi. Penso, ad esempio, alle unioni civili, di cui stanno parlando in questi giorni, anche se non è una priorità per Segrate».
Un’ultima domanda: durerete cinque anni?
«Certo, ci mancherebbe altro».
Convinto?
«Assolutamente convinto».