2023-07-21

Ha svolto il ruolo di general manager del David Lloyd Club Malaspina per 6 anni, rendendolo un piccolo gioiellino per lo sport, il relax e il divertimento. All’indomani del suo addio, lo abbiamo incontrato per fare quattro chiacchiere e ripercorrere questa esperienza. Lui è Marco Tonarelli, 51 anni, un curriculum di tutto rispetto nella gestione di palestre, piscine e perfino una piccola parentesi nel mondo della ristorazione.
A caldo qual è la prima emozione, se pensa a questi 6 anni?
«Direi che sono un turbinio di emozioni. Questo è il primo vero club che ho visto rinascere da zero e l’ho seguito in tutto e per tutto. Ho perfino scelto ogni singolo elemento del personale.  Sono arrivato in quello che era il “club sanfelicino” con piscina, tennis e il gioco delle carte, e con il tempo sono riuscito a far capire che c’erano altri servizi e li ho fatti inglobare. Qui lascio una parte del mio cuore, è l’esperienza che mi ha più segnato sia dal punto di vista professionale che umano».
Come mai ha scelto di lasciare?
«Da sempre il mio segreto per ottenere risultati è la passione. Stare qui 7 giorni su 7 per 10 ore al giorno è perché ami questo posto. Ma ultimamente la mattina mi alzavo in maniera diversa e ho capito che era il momento di cambiare: qui non potevo dare più nulla».
Dove andrà?
«Andrò a fare il general manager al Tennis Club Ambrosiano di via Feltre, a Milano. Un’altra sfida affascinante».
Se pensa al David Lloyd Malaspina, qual è il suo più grande orgoglio?
«Averlo portato dove è oggi, una realtà concreta che va avanti da sola. Ho trasmesso un concetto di benessere differente, che è stato apprezzato. I miei obiettivi li ho raggiunti, il club è stabile nonostante il covid».
C’è qualcosa che avrebbe voluto fare e non è riuscito o non ha fatto in tempo?
«Ce ne sono, per carità. La principale, direi di non essere riuscito a ristrutturare gli spogliatoi del basket, dove volevo fare una multiarea sportiva».
Perché uno dovrebbe frequentare il David Lloyd Club?
«Perché c’è tutto. Non è il migliore club di paddle o di tennis o di fitness, ma è il migliore club per fare tutto questo».
E nel particolare il David Lloyd  Malaspina cosa ha in più degli altri?
«La visione. Devo anche ammettere che i vertici del David Lloyd mi hanno sempre affiancato e sposato le mie idee. Ed eravamo avanti di almeno uno o due anni rispetto agli altri competitor. E poi il fatto di aver portato il Family Club in Italia e con successo. Qui ci sono situazioni per i grandi, per i bambini e per la famiglia, intesa come tutti insieme».
Adesso che se ne è andato, può essere sincero: si dice che i sanfelicini siano molto esigenti. Lei come li ha trovati? Che rapporto ha costruito con loro?
«Devo ammettere che all’inizio erano un po’ chiusi e anche diffidenti. Avranno pensato con un pizzico di scetticismo: “Arrivano gli inglesi...”. Oggi, invece, sono i più grandi estimatori di questo club. Diciamo che con il tempo ci siamo conosciuti e hanno capito che non eravamo arrivati per togliergli il loro club, bensì per migliorarlo».
Fare il general manager del David Lloyd sarà stato bellissimo, in questo contesto poi ancora di più. Però immagino anche tante responsabilità o mi sbaglio?
«Per nulla. Da non dormirci la notte. C’è stato un periodo in cui mi svegliavo in piena notte, mi alzavo e mi annotavo su un blocco cosa fare per migliorare il club. Ci sono grosse responsabilità a ricoprire un ruolo del genere perché è richiesta sempre una qualità altissima. Ma giorno dopo giorno ho costruito quello che mi segnavo su quel blocco. E poi la pressione durante il covid. Avevo 34 dipendenti, più un indotto che portava a un totale di una novantina di persone, e sentivo che dovevo trovare soluzioni anche per loro».
Cosa si sente di dire a chi prenderà il suo testimone?
«Una cosa semplice: se non ha passione o amore per questo lavoro e per questo Club, non accetti l’incarico».