2023-10-27

In un periodo storico come quello attuale, purtroppo la parola “guerra” è tra le più pronunciate. Da quotidiani e telegiornali, fino ai social network e alla più familiare chiacchiera da bar, il perdurante conflitto tra Israele e Palestina è ormai sulla bocca di tutti. In mezzo a questa marea di informazioni e di opinioni, però, risulta spesso difficile orientarsi e si rischia talvolta di perdere di vista il fattore umano. Per questo motivo, lungi da ogni scopo didattico o di discussione geopolitica, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Angelo Giordano, un ragazzo italiano 23enne che si trova attualmente in Siria, per conoscere come può essere davvero la vita in un contesto in cui la guerra la fa da padrona e, pur senza coinvolgere direttamente i civili, come è fortunatamente il suo caso, plasma la mentalità e minaccia la sopravvivenza dei popoli.
Cosa ti ha portato in Siria?
«A marzo mi sono laureato alla Iulm di Milano in Interpretariato e comunicazione, quindi avevo deciso di trascorrere un anno in un Paese del Medio Oriente, perché è un mondo che mi affascina molto. Ero già stato un semestre in Libano, durante l’università, per studiare l’arabo e avevo tenuto alcuni contatti con la gente del posto, che mi ha aiutato a chiedere il visto per venire in Siria. Sono qui da maggio ormai, prima a Tartus e ora a Damasco, ma non è stato un percorso facile. In principio avevo solo un visto da turista, poi mi sono iscritto a un istituto che insegna l’arabo e adesso ho quello per studio».
Come ti trovi lì?
«Con le persone molto bene: non mi sono mai sentito un pesce fuor d’acqua, perché i siriani sono molto ospitali, oltre che socievoli e generosi. È stato un po’ difficile trovarmi una scuola, perché a causa della guerra adesso non esistono quasi più istituti di studio per stranieri e non siamo ammessi ai corsi universitari».
Ti senti al sicuro?
«Il Medio Oriente è un territorio molto particolare dove secondo me non si può mai dire di sentirsi sicuri al 100%, però non è neanche come spesso viene dipinto in Occidente. Il terrorismo non è all’ordine del giorno e, complice anche il fatto che i siriani, come molti altri popoli, hanno conosciuto solo quella, non avvertono la guerra come l’urgenza maggiore, ma piuttosto la povertà».
Nella tua quotidianità, come è cambiata la situazione nell’ultimo periodo?
«Il realtà il conflitto tra Israele e Palestina non si è mai fermato in tutti questi anni; ora se ne parla perché di recente Hamas ha risposto a una provocazione lanciata dal governo israeliano e da lì c’è stata una rapida escalation. La strategia di Israele ormai è la stessa da tempo: non solo colpire la Palestina, ma indebolire anche gli altri Stati che sono al suo fianco, come il Libano e la Siria. Pochi giorni fa, c’è stato un bombardamento nella città siriana di Homs, sull’accademia militare proprio durante la cerimonia di diploma dei cadetti dell’esercito, che ha provocato oltre 100 morti. Aleppo invece è stata bombardata due volte e Damasco, dove sono io, una. La mia vita continua più normalmente possibile, come quella di tutti, ma non sono un incosciente: so bene che la situazione è critica e non farei nulla che fosse un pericolo».
I tuoi amici del posto come stanno vivendo questo scenario?
«Purtroppo il Paese è ormai in crisi e in guerra da molti anni e non è coinvolto solo in questo conflitto, perché per esempio anche a est della Siria sono in corso dei combattimenti. I servizi disponibili, come mezzi di trasporto e elettricità, non sono molti, perciò l’impressione è che ormai la gente si sia lasciata andare e si sia quasi arresa: continua questa guerra, stremata psicologicamente».
Secondo te, quanto è distante la percezione della guerra che abbiamo noi in Occidente rispetto alla realtà?
«In generale, la percezione che l’Occidente ha del Medio Oriente è molto stereotipata: c’è una minima conoscenza di questi posti, se non per i luoghi turistici, e girano concetti sbagliati, sia per quanto riguarda la geopolitica che i costumi locali. Ovviamente non vale per tutti ma in generale, partendo da queste premesse, è difficile che le notizie circolanti siano imparziali e non viziate dal pregiudizio. Ho sentito sulla stampa internazionale molte notizie false o travisate e mi vergogno un po’ quando anche in Italia sembra facciamo valere l’equazione arabo uguale terrorista, perché svela solo la nostra superficialità».
Ti piacerebbe continuare a vivere lì?
«Sì, molto, soprattutto perché la lingua e la cultura arabe mi appassionano molto. Lo stesso non vale però per molti siriani, che invece non desiderano altro che uscire dal Paese e cercare prospettive migliori. Sono loro stessi a dirlo: questa guerra difficilmente avrà fine, a meno che uno dei due attori non faccia un passo indietro. Attualmente però questa sembra un’ipotesi remota».
Chiara Valnegri