«Penso a Fraschini, Peviani e a De Felice, gente giovane di belle speranze». «Stare all’opposizione non è frustrante». «Mai pensato di fare l’assessore». «Vincere di 59 voti non cambia nulla: sappiamo di essere al servizio della città». «Potevo essere il primo presidente del consiglio eletto all’unanimità»

2015-11-05

Senza ombra di dubbio è il decano del consiglio comunale. Dall’alto dei suoi 80 anni quasi tutti dedicati alla politica, vediamo cosa ha da raccontarci Gianfranco Rosa, consigliere comunale di Segrate Nostra.
Allora, da veterano, che impressioni si è fatto della composizione del nuovo consiglio comunale?
«Non è male. C’è gente giovane e, come si dice, di belle speranze che naturalmente dovrà fare esperienza. Però l’ambiente è molto più vivibile e tranquillo rispetto alla precedente tornata. Ovviamente mi sento un po’ il nonno di tutti, ma questo non mi dà fastidio, anzi. Alcuni consiglieri sono ragazzi che ho visto crescere e figli di miei cari amici. Soprattutto sui banchi della minoranza come De Felice, Pleviani e Fraschini».
Sempre da veterano, lei di campagne elettorali ne ha viste tante. Come giudica quella passata, la prima dove i social network sono entrati davvero a pieno regime?
«Nell’ambito politico il clima è stato il solito. Ci sono state invece incursioni di teppisti da internet, come li chiamo io, che hanno avvelenato il clima. E credo che questo atteggiamento abbia danneggiato più i nostri avversari».
Dopo così tanto tempo sui banchi dell’opposizione che sensazioni le dà essere in maggioranza?
«Direi di curiosità. Mentre all’opposizione ti è permesso quasi tutto, ora che è cambiato il ruolo anche la lingua si deve adeguare. La scorsa legislatura sono stato un po’ mattatore della minoranza, essendo in tutte le commissioni. Adesso vi partecipo come spettatore quando non sono inserito così come vado spesso in Comune. Anche in maggioranza voglio sentirmi sempre aggiornato».
Ma è davvero così frustrante essere all’opposizione?
«No. Bisogna semplicemente essere coscienti del ruolo. In verità io non mi sono mai sentito frustrato. La mia soddisfazione era essere osteggiato, salvo vedere nel tempo che i miei suggerimenti venivano recepiti, naturalmente senza che mi fosse riconosciuto merito. Ad ogni modo credo che lo spirito critico, se è serio, porti risultati. Il ruolo del consigliere dell’opposizione è importante e invito i colleghi di minoranza di svolgerlo al meglio».
Tra Pd e Segrate Nostra in passato ci sono stati attriti. E adesso che dovete governare insieme?
«Io le chiamerei vedute differenti. Chiaro che siamo due formazioni diverse  e abbiamo punti di vista diversi su come affrontare certi problemi. Ora però la sintesi politica dovrà essere più concorde. Ognuno dovrà smussare i propri angoli».
E ci riuscirete?
«Dal mio punto di vista ci sono i presupposti anche perché, siamo sinceri, i problemi più grossi il Pd li ha al suo interno. Comunque con la dismissione del commissariamento e con l’elezione di un nuovo segretario cittadino hanno fatto un bel passo avanti. Quindi i presupposti per dialogare ci sono tutti».
All’elezione per la presidenza del consiglio ha perso per un voto e ha voluto ringraziare pubblicamente la minoranza che votandola ha dimostrato di stimarla. Non mi dirà che ci crede davvero? Non era il classico giochetto per mettervi uno contro l’altro?
(sorride) «Così mi hanno detto in privato. E siccome li ritengo persone degne di buonafede non vedo perché non avrei dovuto credergli. Piuttosto, secondo me si è persa un’occasione per avere un presidente del consiglio votato all’unanimità, ma va bene così, non è un problema».
Al termine delle elezioni lei non era stato eletto. Ha pensato: uno, starò fuori dal consiglio; due, magari mi fanno assessore; tre, speriamo di essere ripescato...
«Non ho ipotizzato nessuno scenario. Ero certo di entrare perché sapevo che almeno uno degli eletti sarebbe diventato assessore e come primo dei non eletti sarei subentrato io. Non c’è stata nessuna sorpresa. E aggiungo: mai pensato di voler fare l’assessore, così come il capogruppo».
Sia sincero: pensava che avreste vinto le elezioni? E vincere le elezioni di 59 voti è ancora più bello che dominarle?
«Vincere era una segreta speranza anche perché mi ero speso molto. Sul fatto del come, dico solo che l’importante è vincere. Punto».
Ma avete almeno la consapevolezza che in pratica la metà dei votanti non vi voleva? Questo aumenta le responsabilità?
«C’è la responsabilità, ma non cambia nulla perché sappiamo di essere al servizio di tutta la città. Un impegno che non cambia a seconda delle percentuali della vittoria, tant’è che l’ho sempre pensato anche quando ero in minoranza».
Che giudizio mi dà su questi primi mesi da sindaco di Paolo Micheli?
«Ha un carico notevole sulle spalle. Forse dall’esterno non si percepisce, ma la precedente amministrazione ci ha lasciato carichi pesanti in eredità. Mi pare comunque che Paolo sia partito con il piede giusto perché si è circondato di persone valide che possono supportarlo in maniera dignitosa. Penso agli assessori nominati, ma anche ai collaboratori esterni che sono davvero di alto profilo».
Onestamente, vede Micheli un po’ come il suo delfino?
«Non voglio rivendicare alcun merito. Credo solo di averlo aiutato a crescere. Lui ha avuto fiducia in me e nei consigli che gli ho dato. Tutto qui».
A proposito di consigli, da ex sindaco quale si sente di dargli?
«Bella domanda... Diciamo che guardo il caso Boffalora e lo vedo identico a quello che ho dovuto gestire io da primo cittadino con Milano Due. A Paolo posso solo consigliare di avere determinazione e coraggio nelle scelte. Deve cercare la strada giusta senza pensare ad altro. Intanto non potrà mai accontentare tutti».
Avete davanti cinque anni di governo: quali sono i rischi per fermarvi prima?
«La logica dice che non ci sono rischi, ma in politica esiste l’imponderabile e quindi servirebbe una sfera di cristallo per sapere come andranno questi cinque anni e quali ostacoli troveremo. Ad ogni modo vedo i presupposti per arrivare a fine mandato».
Ultima domanda: cinque anni fa le chiesi chi glielo faceva fare di andare avanti a fare politica. Posso chiederglielo cinque anni dopo, visto che ora ne ha ottanta?
«Certo. E le rispondo nello stesso modo: la passione civica e politica. È come una droga che ti entra nelle ossa. Se fisicamente e di testa te le senti e ti accorgi che chi ti circonda ti accettano allora perché non proseguire. Però questa volta sarà l’ultima... Forse».