«Ho partecipato su insistenza dei miei figli». «La mia lasagna della prima selezione era una prelibatezza». «Mi hanno sfidato su un uovo in camicia, ma che problema c’era?». «I tempi di attesa sono la difficoltà principale»

2017-01-13

Qualcuno ha perfino creato una pagina Facebook: “Brigata Gianni Accardi”. Residente a San Bovio, 66 anni, ha partecipato alle selezioni per MasterChef, ha ottenuto il grembiule e solo per un pelo non è entrato nella cucina più famosa di Italia. Milanese doc, sprizza simpatia da tutti i pori.  E con molta serenità racconta il suo percorso in questa avventura televisiva dove si è divertito un mondo.
Come hai deciso di partecipare?
«Sono stati i miei figli Jesse e Jessica a insistere. Cucino da sempre come hobby, mi rilassa. Inizialmente ho detto no, poi mi hanno fatto vedere delle puntate, ammetto che non l’avevo mai visto e ho pensato: ma io quelle cose le so fare».
E cosa hai fatto a quel punto?
«Sono andato sul sito internet del programma e ho compilato un lunghissimo questionario. Qualche giorno dopo mi ha telefonato la produzione per dirmi che ero stato scelto per una prima selezione».
Niente tv ancora, giusto?
«Esatto. In un albergo milanese insieme ad altri 400 aspiranti cuochi mi sono presentato con un piatto precotto fatto a casa. Uno chef assaggiava e uno mi faceva delle domande, davanti a una videocamera».
Come li hai conquistati?
«Con una lasagna rotonda con sugo di noci, pesto, mandorle, acciughe, capperi, succo d’arancia e tre foglie di basilico. Una prelibatezza, non potevo non passare».  
Ed è arrivata la selezione alla stazione centrale...  
«Già. Lì eravamo in cento e per la prima volta a telecamere accese. Un freddo che non ti dico. Io ero sereno, ma ho visto tanti giovani che avevano davvero una paura di fallire assurda. Alziamo la cloche e ci troviamo un pesce. Dovevamo preparalo a crudo. Nessun problema, lo sfiletto e faccio due involtini con del pepe rosso e una polvere gialla che non conoscevo, ma ho assaggiato e ho capito che ci stava bene. Finiamo e ci fanno allontanare. Quando torniamo dobbiamo rialzare la cloche: se c’era ancora il piatto eravamo passati. I miei involtini erano lì ad attendermi».
A quel punto è arrivata la prova nell’hangar?
«E non è stato semplice. Abbiamo dovuto portarci le pentole e gli ingredienti da casa, cucinare fuori dallo studio e poi gli ultimi cinque minuti davanti ai giudici, Cracco, Barbieri, Cannavacciuolo e Bastianich».
E lì non è andata come volevi?
«Direi proprio di no. Ho portato il mio cavallo di battaglia: ravioli ripieni di ricotta, mandorle tritate e trevisana. Li avrò fatti migliaia di volte e non sono venuti come volevo io proprio quel giorno. L’ho ammesso senza problemi e, forse per gioco, mi hanno chiesto se potevo preparare qualcosa di rapidissimo. Ho risposto: un “uovo in camicia?” e hanno iniziato a ridere. Sostenevano che Cracco era il re dell’uovo in camicia e mi hanno sfidato. È venuto perfetto. Cannavacciuolo mi ha consegnato il grembiule nonostante il voto contrario solo di Cracco. Stavo per uscire di corsa quando mi sento chiamare ad alta voce. Mi volto e Bastianich mi lancia un uovo che prendo al volo. Mi guarda, sorride e mi dice: “Qui sono tutti giovani rispetto a te, volevo testare i tuoi riflessi”. Mi ha divertito un sacco».
A quel punto siete rimasti in quaranta ed è stata la volta dell’ultimo passo prima di potere entrare nella cucina di MasterChef . Ne dovevano restare solo venti...
«Ti dico la verità. Ho pensato anche di fermarmi lì. I tempi televisivi non danno l’idea. C’è toccato stare in piedi ad attendere quasi cinque ore. Avevo la schiena a pezzi. E ho scoperto che chi non aveva ottenuto quattro sì doveva passare una preselezione: preparare un purè.  Il mio era ottimo. Un po’ a onda, ma il sapore era fantastico e sono riuscito a superare anche questa prova».
Ed è arrivata la prova della cottura in umido...
«E lì sono stato sfortunato. C’erano quattro tipi di cottura e a me è toccato cucinare con quella pentola africana che non avevo mai visto, come si chiama... ah sì la taijin. Ma gli imprevisti non erano finiti».
Cioè?
«Tutti che corrono in dispensa e io che ci vado con calma. Anche se non conoscevo quella pentola avevo in mente il piatto. E invece, primo inconveniente, avevano sbagliato i numeri dei cestini, ne mancava uno rispetto al numero dei concorrenti. Mi accontento di un piatto a quel punto. Ma anche gli ingredienti che volevo preparare erano finiti e così ho ripiegato su delle guancette di rana pescatrice. Alla fine non ero molto soddisfatto dell’impiattamento però era buono il mio piatto».
Sicuro?
«Fidati. Hanno iniziato ad assaggiare le portate e io ero tra gli ultimi. Il mio turno è arrivato quasi novanta minuti dopo. A quel punto cosa volevi che facessi? Ho iniziato a mangiare il mio piatto, lasciandone giusto un assaggio per i giudici. Tuttavia non è bastato. Forse non era presentato come volevano. È toccato a Barbieri dirmi che ero eliminato, ma ti assicuro che non ero deluso, anzi, mi sono divertito davvero molto. Non so se avrei retto tutte quelle pause che sono previste. Però ci tengo a dire una cosa: tutte le persone che ruotano intorno al programma sono state gentilissime e preparatissime. Ci hanno trattato sempre con molto rispetto e con tanti sorrisi».
Vale anche per i giudici?
«Ma certo, ci mancherebbe, anche se magari in televisione può sembrare diversamente».
Allora mi dai un aggettivo per ognuno di loro? Partiamo da Cracco.
«Formale».
Cannavacciuolo?
«Simpatico».
Bastianich?
«Spassoso».
Barbieri?
«Professionista».
Se dovessi andare a cena con chi lo faresti?
«Direi o Barbieri o Cannavacciuolo».
E in quale ristorante dei tre invece vorresti cucinare?
«Perché tre?».
Bastianich non è uno chef...
«No? Mannaggia se lo sapevo gli dicevo qualcosa. Allora scelgo Barbieri che è il re delle polpette e che ha una cucina romagnola che mi incuriosisce».