2016-02-26

Ne hanno parlato i giornali di tutto il mondo. Chiara Bonini, vicedirettore della divisione di immunologia, trapianti e malattie infettive dell’ospedale San Raffaele e dell’università Vita e Salute, ha presentato a Washington, nel corso del meeting annuale dell’American Association for the Advancement of Science, gli esiti di una ricerca durata più di 15 anni sulla cura delle leucemie che potrebbe salvare migliaia di vite umane. Uno studio che dimostra ancora una volta quanto sia importante investire nella ricerca medico scientifica e che potrebbe rappresentare una “svolta” nelle cure anticancro. Chiara Bonini, tornata in Italia nel 2000 dopo un periodo a Seattle, dove al suo talento e alle sue competenze ha aggiunto l’esperienza in uno degli istituti più all’avanguardia degli Stati Uniti, spiega: «Per capire come abbiamo lavorato, bisogna comprendere come funziona il nostro sistema immunitario. Nel nostro corpo esistono particolari cellule, i linfociti T, che tramite un recettore chiamato TCR riconoscono le malattie e i virus e si attivano per combattere i nemici della nostra salute quando gli agenti esterni ci attaccano. È un sistema intelligente ed efficiente. Bisogna però sottolineare due aspetti. Fino ad oggi non sapevamo quali fossero i linfociti T capaci di sopravvivere più a lungo nel nostro corpo. E, soprattutto, i linfociti non riconoscono i tumori come nemici, perché a differenza del morbillo, per esempio, si tratta di cellule interne. Dieci anni fa, ai pazienti con leucemia acuta a cui era stato trapiantato il midollo, abbiamo iniettato anche linfociti T del donatore: poiché per il corpo tutto ciò che è diverso è nemico, speravamo che i linfociti ospiti riconoscessero la leucemia come malattia. Per prevenire però che l’intero organismo del paziente fosse attaccato dai linfociti del donatore li abbiamo ingegnerizzati e dotati di un gene suicida da attivare con un farmaco in caso reazione avversa nei confronti dell’organismo. In questo modo, in realtà, li abbiamo anche resi tracciabili nel tempo. Oggi molti di quei pazienti sono sani. Così abbiamo potuto a distanza di 10 anni scoprire quali linfociti siano i più longevi e dotati di migliore memoria. Ora che sappiamo su quali cellule del nostro sistema immunitario dobbiamo lavorare, possiamo immaginare di sostituire il TCR con un recettore che riconosca i tumori come nemici e diventi una sorta di farmaco vivente. La strada è ancora lunga, ma è sicuramente da percorrere».
Denise Silivestro