2016-04-22

Sono scappati da guerra, fame e dittature. Sono arrivati in Italia su barconi straripanti di connazionali ognuno con una storia drammatica alle spalle. E diciassette di loro hanno trovato accoglienza nella struttura di via Togliatti sotto la responsabilità dell’associazione Integra Onlus. Dopo un periodo di adattamento, da marzo hanno iniziato a prendere parte a un progetto sociale che viene spiegato da Gianluca Signora, responsabile di Integra: «Divisi in turni, per tre giorni li portiamo nei parchi di Mezzate, Bettola e Zelo e con loro li puliamo da cartacce e immondizia varia. E adesso hanno iniziato anche a compiere piccoli lavori di giardinaggio sotto i preziosi consigli  di Alberto Di Vecchio. Naturalmente è un servizio di volontariato, serve per rendersi utili alla società e anche per loro che hanno bisogno di muoversi e sentirsi apprezzati. Dal Comune, con cui collaboriamo nel progetto, ci fanno sapere che sono soddisfatti. E lo siamo anche noi perché è un modo per aiutarli a integrarsi». In questi casi meglio di mille parole è riportare la diretta testimonianza dei novelli giardinieri. E allora partiamo con Momo Dou Bah, 26enne del Gambia: «Sono scappato dal mio Paese un anno e cinque mesi fa. Sono stato a Lampedusa, poi Messina, Milano e ora Peschiera. Sono laureato e in Gambia ero un giornalista radio, ma sono dovuto scappare perché la dittatura che vige non mi permetteva di fare il mio lavoro. Non esiste libertà. In Gambia ho lasciato mia madre che ogni tanto sento per telefono e mi chiede di tornare, ma non posso. Questo nuovo servizio che facciamo mi piace perché mi permette di essere utile alla società e stare all’aria aperta. A Peschiera mi trovo bene, ma spero quanto prima che mi vengano concessi i documenti e il permesso di soggiorno». Proprio i documenti sono il vero problema di questi ragazzi. Come Adama Godrago, 24enne del Burkina Faso che ha fatto ricorso al tribunale ordinario per ottenerli: «In Italia sto bene, la gente è gentile e il problema dei documenti è la mia più grande preoccupazione. Sono scappato dal mio Paese perché era dilaniato dalla guerra e non avevo più nessuno. I miei genitori sono stati uccisi e sono salvo solamente perché una signora si è presa cura di me. Ma era troppo pericoloso e sono dovuto salire su un barcone per la disperazione. Un anno fa quando sono arrivato a Lampedusa ero terrorizzato, ora qui a Peschiera mi trovo bene e questo lavoro mi fa sentire importante». Drammatico anche il breve racconto di Makon Coulibaly, 28enne del Mali: «Mio papà è morto mentre di mia mamma non so più nulla. La guerra nel mio Paese è terribile e sono dovuto scappare per forza. Gli italiani mi trattano bene e mi piace uscire all’aria aperta per lavorare. Però vivo l’incubo del permesso di soggiorno che non mi è ancora stato riconosciuto e spero di averlo presto in mano». C’è poi chi come Wali Boubacar, 27 anni, la guerra non l’ha vista, ma è dovuto scappare dal Senegal per gravi motivi familiari e forti conflitti con il padre. Quando ne parla nella voce si percepisce ancora del terrore: «Voglio restare in Italia, non posso tornare nel mio Paese perché morireri. Sono qui da un anno e la maggior parte degli italiani con me è gentile. Per fortuna ora abbiamo anche questo piccolo lavoro che mi permette di sentirmi utile e mi regala qualche ora diversa». Insomma, sentire i loro racconti non può lasciare assolutamente indifferenti. E sarebbe anche giusto ricordare che si parla di persone giovani che hanno visto con i loro occhi tragedie atroci. «Quando sono arrivati a Peschiera e si sono stabiliti nella struttura di via Togliatti è chiaro che inizialmente i residenti della zona sono apparsi diffidenti» racconta Gianluca Signora. «Vedere arrivare una quarantina di profughi all’improvviso anche a non volere crea un minimo disagio. Poi con il passare del tempo si è raggiunto un buon equilibrio e la gente si è resa conto che sono bravi ragazzi, ognuno con una storia davvero drammatica alle spalle. Vanno tutti a scuola di italiano alla Caritas e riempiamo le loro giornate in più modi. Ad esempio abbiamo anche allestito un laboratorio musicale con gli strumenti dei loro Paesi, ci piacerebbe quanto prima organizzare anche un concerto».
Roberto Pegorini