La delegazione cernuschese a Medolla
22 Giugno 2012

Un campo sfollati lo puoi capire solo se ci stai in mezzo. Le conseguenze di un terremoto devastante anche. Non bastano le immagini della televisione, le foto, i video amatoriali e i racconti delle vittime. Perché l’atmosfera surreale nelle tendopoli si respira. Così come il vuoto lasciato da chilometri di nastro rosso e bianco, tirato per tener lontani forse per sempre dalla propria casa e dai propri negozi migliaia di persone. Oppure l’angoscia di star lì a pochi metri dove sono morte sepolte quattro persone e il terrore che percepisci osservando tende, roulotte, camper o casette di legno sistemate in ogni giardino a due passi dalle case che hanno resistito al sisma, ma dentro le quali nessuno ci vuole più tornare. Siamo stati in Emilia. Nel modenese. Ospiti di una delegazione delle istituzioni cernuschesi composta dal sindaco Eugenio Comincini, dal suo vice Giordano Marchetti, dal presidente del consiglio comunale Fabio Colombo, dal comandante della polizia locale Silverio Pavesi e dal coordinatore della protezione civile locale Silvio Ginesi accompagnato dal collega Tresoldi. Destinazione e scopo finale del viaggio, un gemellaggio di solidarietà con il paese di Medolla. Quest’ultimo distante una manciata di chilometri da Cavezzo e Mirandola, ed epicentro della seconda scossa della mattina del 29 maggio. La più terribile di magnitudo 5.9. Epicentro. Un termine che ti è chiaro solo quando l’epicentro lo hai raggiunto per davvero. Perché uscendo dall’A1 a Modena Nord il terremoto è ancora solo nelle immagini dei tiggì. Entri nei primi paesi percorrendo la via Nazionale, Bastiglia e Sorbara, e ti chiedi se tutto questo clamore non sia frutto dei soliti media che strillano più del dovuto. Passi San Prospero e inizi a capire. Tutto d’un tratto ci sei dentro. Nell’occhio del cratere. Da un chilometro all’altro lo scenario cambia improvvisamente. E anche il tuo punto di vista. Le immagini che ti scorrono in testa non sono più quelle delle televisioni, ma della cruda realtà. Come fosse esplosa una bomba in una casa su dieci. Peggio ancora è andata ai capannoni industriali. Sventrati o rasi al suolo. Stabilimenti feriti una volta fiore all’occhiello dell’industria italiana, europea e mondiale: aziende di apparecchiature biomedicali, meccaniche e agro-alimentari. Sotto i pilastri in cemento di una di queste, venuti giù come fossero grissini, sono morte in un sol colpo quattro persone. E se i grissini-pilastri hanno retto, sono le pareti ad essere collassate. In alcuni casi ciò che resta è tenuto in piedi solo grazie all’aiuto delle decine e decine di gru che in questi giorni stanno cambiando lo skyline di queste terre. Braccia di metallo tese al cielo a sostenere un’economia già schiacciata dalla crisi mondiale. Ma qui nessuno si piange addosso. Gli occhi sono lucidi, ma le maniche delle camicie già rimboccate. L’uno-due delle scosse è stato micidiale. Passi la prima, dopo la quale pensi che il peggio sia alle spalle. Poi arriva la seconda e il mondo, non solo materialmente, ti ricrolla addosso. Rialzarsi è ancora più complicato. Ma bisogna farlo. Per tutti parla il primo cittadino di Medolla. E mai come in questo caso titolo è tanto azzeccato. Filippo Molinari ha 41 anni. È tosto. È un esponente del Pd. Oggi però è lontano anni luce dalla politica. Marito e padre di due figli di quattro e un anno. La notte della prima scossa li ha prelevati dalla loro stanzetta e li ha gettati sul letto matrimoniale coprendoli con il proprio corpo mentre tutt’attorno cascavano armadi e cassetti. La seconda volta che la terra ha tremato era in un bar, e per una manciata di minuti lunghi quanto una vita non ha avuto notizie della famiglia. Solo al termine di una corsa da infarto verso casa ha avuto rassicurazione sullo stato di buona salute dei suoi. Ora anche lui vive in camper. Difficile scacciare i fantasmi dello stillicidio di scosse con cui convivono da un mese i 6.350 abitanti. «Un elettrocardiogramma continuo della terra» spiega il sindaco seduto alla scrivania del suo nuovo ufficio: un container di quattro metri per due sistemato accanto al tendone che ospita i 50 impiegati del municipio.Un palazzone inagibile di due piani che a vederlo così pare integro, peccato che al suo interno le pareti siano completamente scollate dal pavimento. Filippo da venti giorni è il padre di tutti i suoi concittadini. «Sono in trincea giorno e notte» spiega incontrando la delegazione di Villa Greppi ansiosa di sapere cosa poter fare nel concreto per aiutare questo paese. «Alla mia famiglia ci pensa mia moglie. Probabilmente finito tutto rimpiangerò di non essermi occupato di loro. In questo momento, però, sono completamente coinvolto nel mio ruolo istituzionale. Così preso che non ho ancora elaborato quanto è successo a livello personale e anche il solo raccontare a voi quello che è successo mi conforta». Forte Molinari. Che riesce anche a trovare un lato positivo in tutto ciò: «La comunità non è mai stata così unita, e in questo momento la figura del sindaco sta riappacificando i cittadini con le istituzioni. Diventi l’unico loro punto di riferimento. Come quando il giorno dopo la prima scossa c’erano 2mila persone in piazza ad aspettare le mie rassicurazioni e l’indicazione della strada da percorrere». Nonostante un malore arrivato dopo dodici giorni insonni, il primo cittadino ha ben chiaro cosa bisogna fare. Punto primo: non aspettare che gli aiuti arrivino dall’alto «perché qui, inutile prenderci in giro, stiamo purgando il terremoto dell’Abruzzo e abbiamo capito che è meglio arrangiarci da soli». Punto secondo: rendere agibili le scuole lesionate entro settembre evitando che i bambini inizino l’anno all’interno dei moduli che dovrebbero arrivare al termine delle lungaggini burocratiche di un bando europeo. Alla paura di tornare nelle case, invece, ci penserà il passare del tempo. Nel senso del meteo. «Il caldo che da queste parti arriva anche a 40 gradi e l’umidità saranno una spinta in più per far tornare nelle case le persone che oggi vivono in tenda nei giardini delle proprie abitazioni, nei parchi o in strada», continua il sindaco. «Altrimenti a ottobre ci penseranno i primi freddi. Ma la paura c’è, ed è anche la mia». Suona il telefono: «Scusate ma il dovere mi chiama». Con noi resta un impiegato dell’ufficio tecnico che ci accompagna tra le macerie. Che sono soprattutto quelle delle chiese sventrate delle frazioni di Camurana e Villafranca, del campanile della parrocchia centrale in piedi per miracolo nonostante le crepe alla base e una messa in sicurezza resa difficoltosa dai progetti di recupero della Soprintendenza, delle decine di ville storiche, casolari e aziende agricole andate perse. Poi ci sono appunto le industrie. Quelle che hanno fatto i morti come la Haemotronic. Colpa della tragica fatalità, ma anche di una legge che classifica il territorio sulla faglia ferrarese in classe tre. Esente da normative antisismiche nonostante il terremoto devastante del 1570 che colpì la zona e decretò la fine della dinastia degli Estensi. Infine c’è il campo degli sfollati. Sono 350 quelli ospiti nel centro di Medolla. Ma il numero a giudicare dalle 1.700 segnalazioni di case lesionate giunte in Comune è ridotto all’osso. Molti abitanti sono lontani, ospiti di parenti e amici, ma la maggior parte ha scelto di stare accanto alla propria abitazione. In tenda, in  roulotte o in una casa di legno prefabbricata, vero business del momento. I profughi del terremoto li abbiamo incontrati nella tendopoli allestita dalla protezione civile del Molise. Una cinquantina di tende gonfiabili, due container a uso bagno e docce, l’infermeria, la ludoteca gestita dagli scout, gli avvisi in sei lingue differenti, la cucina e la tensostruttura della mensa con il grande televisore che rilancia le immagini del sisma che tutta Italia vede da giorni. Fotografie che si comprendono, però, solo stando qua.

Alessandro Ferrari