06 Aprile 2020

Quello di oggi è il mio ventiduesimo giorno di clausura in casa e ci ho fatto ormai l’abitudine. L’importante è organizzarsi. La reclusione forzata non mi pesa più come ai primi tempi, quando smaniavo per evadere, peggio di Papillon. La reclusione non mi pesa più perché, come ho già detto, l’importante è organizzarsi. E io l’ho fatto, so con precisione che cosa devo fare nell’arco delle 24 ore. Quello che state per leggere è il diario di una mia giornata tipo tra le quattro mura di casa. Sveglia alle sette e mezza circa, ma nessuna fretta di alzarmi. Rimango ancora un po’ a poltrire e accendo il cellulare per leggere le novità. Sono arrivate alcune mail di nessun interesse, Facebook fa la solita confusione con un’alternanza di post pro e contro il governo, c’è qualche battuta azzeccata, ma niente di che neanche oggi. Dopo dieci, quindici minuti decido che è meglio alzarsi e andare in bagno, Ci vado con il quotidiano che “Oresette” mi fa trovare sullo zerbino. Mezz’ora circa tra lettura e quant’altro, poi la colazione, caffellatte e biscotti e, subito dopo, la prima “ora d’aria”, ovvero la passeggiatina con il cane che non è proprio un’ora d’aria ma, quando va bene, appena un “quarto d’ora d’aria”. Quanto basta, comunque. Torno a casa e mi metto al computer: due ore circa cazzeggiando cazzeggiando tra Fb e twitter. Mi interrompo solo per fare due telefonate ai figli, tre agli amici, e per inviare sei, sette messaggi whatsapp a chi capita capita. Mezzogiorno arriva in fretta. Non è ancora tempo di andare a tavola no, ma di cominciare a bere sì. Dunque uno spritz casalingo, ovvero vino bianco e acqua frizzante, e un pezzettino di formaggio grana per giustificare la bevuta. Poi un breve ripasso al quotidiano, evitando con la massima cura le dichiarazioni propagandistiche dei politici e di nuovo al computer per un altro cazzeggio prima di mangiare. Tutto questo sempre restando a distanza di almeno un metro e mezzo dalla televisione e dai suoi programmi di approfondimento, che si chiamano così, di “approfondimento”, proprio perché ti trascinano verso il fondo, ospitando sì scienziati, meno male, ma anche una serie di tuttologi, virologi improvvisati e quaquaraqua professionisti, giornalisti e politici, che giocano a chi la spara più grossa. Un TG lo seguo intorno all’una, mentre mangio. Per abitudine più che per approfondire. Se però è il TG2 l’appetito mi passa. Non ho quasi mai fame, non ne ho da ventidue giorni, da quando sono chiuso qua dentro. Mi sforzo però di assecondare l’impegno di mia moglie e, di nascosto ma neanche tanto, mi faccio aiutare da Terry, la fedele cagnetta che, lei sì, l’appetito non l’ha mai perso e manda giù con gioia i bocconcini che le allungo. Grazie a Terry – grazie di esistere cagnetta mia adorata – nel pomeriggio, dopo aver cercato senza successo di schiacciare un pisolino, ho la facoltà di uscire una seconda volta: altri dieci minuti vicino a casa. Servono a poco, io proditoriamente arrivo a quindici, a volte anche a venti, ma questo non fa che aumentare il mio disagio. In giro non c’è nessuno. O quasi nessuno. Vedo ancora incoscienti in bicicletta e senza mascherina che se ne fregano delle disposizioni e continuano a fare quello che facevano prima. Lancio qualche “vaffa” ma l’invito rimane prigioniero nella mascherina. Ogni tanto però qualcuno lo sente e me lo rimanda indietro. Torno a casa ogni giorno incazzato. Libero Terry dal guinzaglio e mi chiudo nel mio studio. “Se qualcuno mi cerca dì che non ci sono” raccomando a mia moglie, ma è naturalmente una battuta, anche stupida, diciamo la verità, che però ripeto regolarmente ogni giorno. Dalle cinque alle otto il tempo non passa mai, è più lento di un bradipo ubriaco. Le ore più dure sono proprio queste. Cerco di scrivere qualcosa, ma cosa? Per chi? Per quando? Perché? Vado su you tube, cerco un po’ di musica, ma mi accorgo di essere rimasto indietro. Io sono ancora a Gaber, Guccini, Dalla, De Andrè, quelli di oggi non mi dicono niente. Telefono di nuovo ai figli, a tre amici che stamattina non ho sentito, ma il tempo non accelera il passo, è sempre lento, lento, lento… Dopo cerca un secolo dalla cucina arriva l’urlo. “È pronto…”. Dico “Un momento…” tanto per darmi un tono, ma in realtà comincio già a spegnere il computer. Tergiverso ancora un po’, sempre per la questione di darmi un tono, e poi finalmente eccomi a tavola. La televisione è già accesa. “Per le notizie” dice mia moglie. Invece no: è per “L’eredità”, l’unica trasmissione che vediamo volentieri. Le parolone, il triello che bello, i calci di rigore, la ghigliottina. Ogni sera una sfida, tra me e mia moglie. Al momento sono un po’ sotto, ma spero di recuperare, l’ultima l’ho indovinata io: 50 mila euro purtroppo solo virtuali. Finisce “L’eredità” e ci risiamo. Che fare? “I soliti ignoti” con Amadeus no, guai, neanche morto, i talk show neanche, prima che ti ripropongano Salvini o la Meloni o Capezzone, proviamo a vedere se c’è un filmetto, che ora è? Zapping zappando qualcosa ogni tanto si trova, ma niente di che, almeno per quello che mi riguarda. Mi piacerebbe vedere una partita di calcio, anche della Juve per assurdo, ma il calcio di questi tempi è, giustamente, ripeto giustamente, tabù. Allora la giornata finisce come in realtà avevo già programmato sin dall’inizio: un libro consolatorio e gratificante. Da quando sono recluso ho letto due gialli inutili di cui non ricordo né il titolo né l’autore, tantomeno la trama, ma per fortuna ho anche riletto Gesualdo Bufalino (La diceria dell’untore), Josè Saramago (Cecità), Gabriel Garcia Marquez (L’amore ai tempi del colera). Stasera attacco John Fante (Aspetta primavera, Bandini).

Lello Gurrado