24 Marzo 2017

Né zingari né tantomeno criminali. Gli inquilini di Cascina Deserta sono persone più comuni di quanto chiunque a Peschiera avrebbe potuto pensare. Entrando nell’area recintata, attorniata da ruderi e vecchie case bifamiliari ormai abbandonate da tempo, ci si aspetterebbe di imbattersi in una accampamento abusivo di nomadi, come alcune chiacchiere di quartiere raccontano da mesi. Invece nel migliore dei casi si incontrano solo due persone: Petru Chitana, classe 1945, operaio originario di Costanza in Romania, e il suo amico Marin, 45 anni, anch’egli romeno. I due vivono da circa un anno in condizioni di miseria sconcertanti, tra cumuli di spazzatura, all’interno di una struttura in muratura che misura una decina di metri quadrati al massimo, senza porte, finestre e ovviamente senza riscaldamento, cucinando su vecchie piastre arrugginite scaldate a legna e usando come unico appoggio un minuscolo tavolo posizionato al centro di uno spazio putrido, appena fuori dalla loro attuale abitazione. La loro unica proprietà consiste in qualche vestito logoro, alcune coperte polverose e delle stoviglie in plastica che nessuno userebbe se non costretto dalle circostanze. Nessuna traccia di oggetti di valore o di qualcosa che possa far pensare a una refurtiva frutto di azioni illecite come furti in appartamento. «Quando un anno fa Marin mi ha detto di venire a vivere qui, non ho avuto scelta e, nonostante io sappia bene che le condizioni in cui abitiamo sono a dir poco precarie, ho deciso di trasferirmi», spiega Petru in un italiano appena abbozzato. «In Romania ero un operaio, lavoravo sui tralicci dell’alta tensione, ma dopo essere rimasto invalido a causa di un brutto incidente sui cavi elettrici, non ho più potuto farlo. Dove sono nato io le persone che non sono ritenute utili alla società vengono pian piano emarginate e abbandonate a loro stesse, e quindi ho contattato mio figlio che lavorava già da tempo in Italia come meccanico e sono venuto qua, ma purtroppo la mia vita non è migliorata». Petru si regge in piedi a stento e cammina pericolosamente curvo, sorretto da una stampella. Mentre racconta la sua storia mostra avvilito delle enormi cicatrici sulla schiena, unico ricordo del brutto incidente che gli è costato il lavoro a Costanza. Poi, frugando nel loculo dove dorme, esibisce una serie di fogli e documenti tra i quali spuntano diversi numeri telefonici e una tessera della Caritas. «Quando posso mangio alla mensa dei poveri e passo le giornate a chiedere l’elemosina davanti alla chiesa di Santa Maria del suffragio a Milano. Almeno così riesco a pagarmi le sigarette e qualche lattina di birra da bermi qui la sera», sorride Petru facendo un cenno con la testa come a dire che tutto sommato potrebbe andargli anche peggio. Marin, anch’egli mendicante, fa la sua stessa identica vita: tutti i giorni attraversa via Caduti di Nassiriya per prendere l’autobus e andare a chiedere l’elemosina in centro, per poi tornare la sera tardi. «Lui è più giovane e può andare tutti i giorni in città, io invece che ho 77 anni, ci vado solo tre o quattro volte la settimana. La domenica sto a casa a curare la terra e i quattro gatti che girano qua intorno», conclude l’anziano operaio gesticolando e indicando bacinelle di latte sparse per terra su tutto il perimetro. Sembra poi che la parola “abusivi” accostata ai due uomini dell’est Europa non sia del tutto adatta, in quanto il proprietario di casa, un certo Giovanni di cui Petru esibisce fiero il numero scritto su un foglio, sappia perfettamente dell’esistenza dei due inquilini e gli permetta di stare lì. «Il signor Giovanni parla un po’ di rumeno e ci ha anche aiutato a sgomberare dai rifiuti l’area in cui sto provando a coltivare qualcosa», aggiunge Chitana. È ancora da verificare se questo Giovanni sia effettivamente il padrone del piccolo stabile che compone parte della cascina, ma la sicurezza con cui l’uomo lo afferma fa pensare che, per lo meno, sia quello che gli è stato effettivamente riferito. Ovviamente i due rumeni non si preoccupano delle dicerie che circolano a San Bovio sul loro conto. Primo perché non arrivano alle loro orecchie e secondo perché hanno altro a cui pensare, e neanche il rispetto del decoro, che i residenti del quartiere giustamente pretendono, è una loro priorità, in quanto loro si svegliano la mattina sapendo di dover sopravvivere, non vivere, ed evidentemente questo pensiero basta a riempirgli le giornate. Venire così in stretto contatto con una realtà tanto vicina a noi nelle distanze quanto lontana nella dimensione umana è certamente utile per tutti. Così che il rispetto per un essere umano non sia messo in secondo piano dal nostro desiderio di vivere una vita tranquilla, agiata e lontana dai veri problemi del nostro mondo.
Mattia Rigodanza