16 Novembre 2018

Arrivano le richieste di condanne per i nove imputati del processo della bomba fatta esplodere la notte del 10 ottobre 2017 in una palazzina di via Dante. Precisamente sul pianerottolo dove abitava un operaio ecuadoriano, incapace di saldare un debito i cui interessi usurai erano assurdi. Il pubblico ministero Paolo Storari ha proposto pene che vanno dai 3 ai 10 anni. Fra gli imputati troviamo anche Roberto M., il figlio di un presunto boss della ‘ndrangheta. Per lui la richiesta di pena più alta: 16 anni, ridotta a 10 anni e 8 mesi in seguito alla scelta di procedere con il rito abbreviato. All'inizio delle indagini scattarono le manette proprio nei suoi confronti, in quelli di suo cugino e di altre due persone, con l'accusa di estorsione, usura e violenza privata. Successivamente gli inquirenti arrestarono anche quattro persone, accusati di detenzione e porto di materiale esplosivo, aggravato dal metodo mafioso, porto e vendita illegale di armi e furto. Il processo è stato rinviato a giovedì 22 novembre quando toccherà agli avvocati difensori prendere la parola. Dopodichè toccherà al giudice sentenziare.
13 mesi fa l'eplosione distrusse porte e finestre di tre su quattro piani dell’immobile, dove vivono 10 famiglie per un totale di 27 persone, oltre alle vetrate della tromba delle scale. E proprio questo potrebbe avere evitato il peggio perché l’ordigno avrebbe così trovato “aria”. I residenti sono stati costretti a vivere fuori dalle loro abitazioni, dichiarate inagibili, per parecchio tempo.