Issam, Paolo e Francesco

Trenta detenuti di San Vittore trasformati in bibliotecari da un progetto dell'Abi

01 Febbraio 2013

Molti sono nati in Martesana, altri, nei comuni dell’Est Milano, hanno commesso reati. Tutti, di certo, hanno sbagliato e ora scontano la loro pena tra le mura di un carcere. Ma da un anno a questa parte sono anche i protagonisti di un nuovo progetto all’insegna della redenzione e della promozione sociale. Un’esperienza in grado di alleviare le loro grigie giornate di reclusi, fornendo loro anche nozioni che potranno spendere una volta pagato il loro debito con la società. Sono i trenta detenuti della casa circondariale di San Vittore che, grazie a un’iniziativa pilota promossa dall’Aib (l’Associazione Biblioteche Italiane), in collaborazione con il Comune di Milano, hanno potuto frequentare un corso professionale per apprendere un glorioso mestiere oggi in via d’estinzione, complici internet e le nuove tecnologie. Quello di bibliotecario. Diventando i custodi degli oltre 16mila titoli inseriti tra gli scaffali delle diverse biblioteche dell’istituto di pena, in attesa di poter usufruire della loro nuova professionalità una volta tornati liberi. A illustrare i dettagli del progetto è la direttrice del carcere, Gloria Manzelli: «Si tratta di un progetto estremamente significativo, che abbiamo autorizzato molto volentieri in quanto risponde all’esigenza di crescita personale dei detenuti da molti punti di vista: professionale, culturale e, soprattutto, umano. L’occasione perfetta per imparare qualcosa e, al tempo stesso, nutrire mente e spirito». Tra i primi detenuti ad aderire, Paolo, 41 anni. «Ho accettato con entusiasmo di partecipare» racconta, «convinto che potesse migliorarmi la vita sia dentro che, domani, fuori dal carcere. È un’esperienza che risponde alla perfezione all’Articolo 27 della nostra Costituzione che dice che le pene detentive devono tendere alla rieducazione del condannato». Un vero e proprio miracolo nell’universo carcerario italiano caratterizzato, purtroppo, da cronici problemi, per non dire piaghe, come sovraffollamento, mancanza di risorse e situazioni al limite dell’emergenza sociale. Assieme a Paolo, Francesco, 39 anni. Una vita fatti di errori che, però, non ha cancellato il grande amore per la letteratura. Tanto che, nonostante la condanna, non ha rinunciato a scrivere. Anzi, proprio in cella ha trovato nuovi stimoli per mettere i suoi pensieri nero su bianco, pubblicando racconti. Ovviamente, anche lui, ha colto al balzo la possibilità di apprendere un’arte. «Lavorare nella biblioteca del carcere è una libertà immensa per noi detenuti» confida. «Tenere in ordine i libri, consigliarli agli altri carcerati e, ovviamente, leggerli in prima persona ci consente davvero di evadere, vivendo esperienze di cui siamo stati momentaneamente privati. Un privilegio, per chi, come noi, deve scontare una pena». Francesco ci svela poi cosa si legge in carcere. «I libri più gettonati sono ovviamente i romanzi, sia d’avventura che d’amore oppure thriller. Ma contrariamente a quanto si possa pensare sono molto richieste anche le raccolte di poesia e i libri di filosofia. Per quanto riguarda gli autori più amati, i nostri “colleghi” ci richiedono molto Ken Follet, John Grisham e, guardando in Italia, Ammaniti e Donato Carrisi». I volumi arrivano tra gli scaffali del carcere grazie a donazioni di privati o delle case editrici. Soldi per l’acquisto il Ministero non ne ha. Per questo spesso i titoli sono un po’ datati. E qualcosa manca. I manuali di diritto penale e civile, ad esempio, richiestissimi, ma di cui purtroppo sono presenti in archivio solo poche copie. Inoltre, le lingue sono limitate: italiano, inglese e francese. Qualcosa in slavo e rumeno. Pochissimo arabo. Non il massimo per un carcere in cui il 65 per cento dei detenuti è di origine straniera. Ma nessuno si lamenta. Anzi. I libri per chi vive l’esperienza carceraria diventano degli amici preziosi. E forse qualcosa di più. Come conferma Issam, 33 anni, tunisino: «Quando sei in carcere senti la mancanza di tantissime sensazioni, il suono del vento, il rumore delle foglie, l’acqua che scorre. Tra queste mura i suoni sono sempre gli stessi, i gusti, il tatto e l’olfatto sono limitati. Leggere un libro è uno dei pochi mezzi che abbiamo per poter rivivere queste sensazioni e per non dimenticarci che esistono». 

Luigi Frigoli