Carlo Cerea all'opera

Negli anni Ottanta gli storici due maestri barbieri hanno ricevuto l’Ambrogino d’Oro dal comune di Milano

15 Novembre 2013

«Barba o capelli?». Una domanda che in via Monzese al civico 44 vi sentirete ancora rivolgere appena vi sarete seduti sulla comoda poltrona da parrucchiere, pardon da barbiere, di Carlo Cerea. Prima le forbici del padre Angelo, oggi quelle dell’arzillo 81enne, hanno sfoltito le chiome di generazioni di segratesi. In questo angolo di Rovagnasco la storia è iniziata quasi un secolo fa. Da novant’anni per l’esattezza. Prima nell’attuale tabaccheria distante pochi passi, poi all’inizio degli anni Sessanta nella sede odierna. E i racconti della Segrate di oggi, tra una spuntata di basetta e l’altra, si mescolano inevitabilmente con quelli di allora. La porta del negozio sotto l’insegna “Barbiere”, senza nomi e senza fronzoli, si apre in continuazione. La prenotazione nell’era degli smartphone e del Web 2.0 da queste parti è ancora vocale. Viso a viso. «Ciao Carlo, hai tempo per me?». «Ripassa domani mattina Luca, oggi sono un po’ preso». Seduti sulla poltrona in comoda attesa leggendo il Corriere della Sera («ma anche Segrate in Folio quando lo trovo» commenta Cerea), ci sono due clienti. «Tanti pensionati la mattina» spiega Cerea, «ma non solo. Da me vengono giovani, adulti e bambini. Da Segrate, Cernusco, Rodano e Carugate. Clienti affezionati che ritornano». E i colpi di forbice e i passaggi di rasoio di Carlo sono quelle di un vero mestierante. Lo dicono gli habitué, ma anche i tanti diplomi appesi alle pareti del negozio più antico della città. Come quello dell’Enam che recita: «Carlo Cerea, maestro insegnante di acconciatura maschile». Una professione che Carlo e il fratello Amedeo, in pensione da un paio d’anni, hanno imparato fin da bambini. Nella bottega del padre aperta nel 1923. «Una sola poltrona, nessun lavandino e una bacinella piena d’acqua usata per la barba» ricorda Cerea. Oggi nel nuovo negozio «al 44» i lavandini ci sono, le poltrone sono raddoppiate, ma gli attrezzi del mestiere rimangono sempre gli stessi: forbice, pettine, rasoio rigorosamente a mano (quello elettrico è un’eccezione), pennello e schiuma. Poi una serie di creme e prodotti naturali per «coccolare» la pelle appena ripulita. Negli anni Carlo e Amedeo sono diventati dei veri artisti. Tanto che da otto lustri offrono gratuitamente il loro sapere alla scuola milanese di formazione Espam che quest’anno celebra i 60 anni dalla fondazione. Un volontariato che è valso a entrambi i fratelli l’Ambrogino d’Oro. La più alta benemerenza civica meneghina riporta le firme del sindaco Carlo Tognoli nel 1984 e di Paolo Pillitteri nel 1988. «Ma gli attestati di stima che ci fanno più piacere sono quelli che riceviamo da chi continua a scegliere le nostre forbici» continua l’81enne. «Certo, la crisi la sentiamo anche noi perché i tagli avvengono con minor frequenza di una volta, ma non possiamo lamentarci». E guardando al portafogli nemmeno i clienti. Taglio e capelli alla cassa? 17 euro. Con regolare ricevuta scritta a mano. E anche questo, al giorno d’oggi, non è poca cosa. Davanti allo specchio di Carlo e Amedeo sono finiti un po’ tutti i maschietti di Rovagnasco, «anche personaggi vip di cui però non posso svelare i nomi». Uno, però, lo facciamo noi. Certo, non è il biondo Brad Pitt e nemmeno il brizzolato George Clooney, ma la folta barba bianca del segratese Guido Mosconi, sosia di Verdi e Garibaldi, era famosa in città viste le sue numerose comparsate in tv. «Di lui si occupava mio fratello» racconta Carlo. «Ogni volta che doveva vestire i panni del compositore o del patriota veniva da noi per rifarsi il look. E devo dire che era impressionante. Identico». Ma se un ragazzino dovesse venire con la foto di Pogba o El Shaarawi chiedendo di avere la loro stessa cresta? Cerea barcolla e a denti stretti cede. «Gliela faccio». Nessuna eccezione, invece, per le quote rosa. Dovesse entrare una bella signora chiedendo una messa in piega? Qui il barbiere è irremovibile e tra il serio e il faceto sentenzia: «La guarderei in faccia e le chiederei gentilmente di uscire. Qui donne non ne voglio. L’insegna è chiara: barbiere». Magari, però, le darebbe l’indirizzo di un parrucchiere a cui rivolgersi: da Dimensione Donna in piazzetta dei Fiori al Villaggio Ambrosiano. Qui c’è la figlia Antonella che ha seguito le orme del padre virando poi il colore delle sue “mesches lavorative” più verso il rosa. La famiglia Cerea a Rovagnasco naturalmente è conosciutissima. Carlo e Amedeo sono anche i più anziani organizzatori della tradizionale festa di San Vittore. Quella che si svolge la seconda domenica di maggio per celebrare il santo patrono della frazione che dà il nome all’antica chiesetta di via Monzese. Una sagra che affonda le proprie radici all’inizio del secolo scorso ed è ancor oggi un’istituzione per il quartiere. «A noi di Rovagnasco c’è rimasto solo questo» commenta amareggiato Carlo. «Il resto lo hanno abbattuto le ruspe. Un anno fa ha ceduto sotto i colpi delle pale meccaniche anche l’ottocentesca Villa Ronchi. Ma come si fa, mi chiedo, a distruggere così decenni di storia cittadina? Pensi che durante la Guerra quel palazzo ospitò anche la sede distaccata degli uffici municipali». Ritagli di vita destinati a scomparire quando la saracinesca di Cerea si abbasserà per sempre. «Ma fino a quando le gambe mi reggeranno, la pensione può aspettare» conclude il barbiere. E a giudicare dalla velocità con cui si muovono avanti e indietro, e a destra e a sinistra della poltrona, il classico chiodo dovrà attendere ancora a lungo le forbici di Carlo.

Alessandro Ferrari