10 Novembre 2017

Potrebbe essere la trama di un racconto: un giovane medico fa un viaggio nel Sahara e viene folgorato dal Mal d’Africa. Probabilmente anche lui resta ammaliato dalle onde sinuose e calde che il vento traccia sulla sabbia dorata, dalla sfacciata bellezza dei tramonti che striano il cielo con nastri vermigli o da chissà quale altro incantesimo . Torna più volte nel deserto e sempre di più sente il richiamo che gli giunge da quella Terra. Poi un giorno propone  alla moglie e ai suoi tre figlioletti, ancora in tenera età,  di andare a vivere nel deserto del Sahara. E così sarà. Si trasferiscono e ha inizio la loro insolita, avventurosa storia.
Tommaso, il secondogenito della coppia,  ha appena 4 anni.
Ed è proprio Tommaso il protagonista dell’incontro avvenuto il 25 Ottobre allo Sporting Club di Milano 2 per i consueti Tè Letterari mensili: “ Io,“Figlio del Deserto”, e il mio amore per il Sahara.”
Tommaso Ravà si racconta con semplicità, eppure il suo parlare coinvolge e affascina perché narra  di una vita insolita, avventurosa ma anche “faticosa” come la definirà egli stesso più volte durante l’intervista.
Da piccolo passa sei mesi l’anno nel Sahara, a contatto con le tribù nomadi del deserto, e sei mesi a Milano con la nonna. Impara a parlare la lingua di queste etnie locali,  vive con loro, assorbe la loro cultura e avverte la forza di un legame forte quanto quello di una vera famiglia.
Un Tuaregh lo prenderà sotto la sua protezione e diventerà per Tommaso una importante figura di riferimento nei suoi lunghi soggiorni nel deserto.
Durante l’intervista emerge la storia di una famiglia “particolare” che ha avuto il coraggio di vivere una vita “particolare”; tre fratellini inseparabili che condividono avventure esaltanti e qualche momento di nostalgica solitudine.   Da adolescente Tommaso studierà in Italia fino a laurearsi, ma il Sahara continuerà a fare da sfondo alla sua vita. La sua famiglia possiede dal 1977 un’agenzia di viaggi, Spazi d’Avventura, specializzata appunto nei viaggi nel Sahara, e Tommaso Ravà oggi è una delle guide sahariane più quotate e richieste.
Dai filmati proiettati durante l’incontro emerge la grande bellezza di questa parte del mondo, la naturale eleganza di quei volti dagli occhi scuri e profondi, il fascino indescrivibile di questi popoli che non mettono radici ma appartengono alla loro terra con una forza magnetica a noi sconosciuta.
Appartiene appunto a una tribù nomade, i Wodaabe, l’usanza di una danza rituale, Gerewoll, che ha incantato il pubblico per la sua unicità. Infatti il filmato si è potuto realizzare solo grazie alla profonda amicizia e stima reciproca che unisce Tommaso al capo tribù che ha concesso l’autorizzazione a fare le riprese durante la celebrazione.   
Alcuni giovani uomini, belli come statue e con invidiabili denti, forti e bianchissimi,  si adornano con ricchi abiti e vistosi  monili e si dipingono viso e corpo per affrontare 36 lunghe ore di danze incessanti, aiutandosi bevendo pozioni a base di erbe energizzanti.
Alla fine della danza vengono introdotte alcune giovani donne, dai 12 anni in su, che dovranno scegliere un giovane danzatore, sfiorandolo con una mano, per passare la notte insieme a lui. Potrebbe essere solo per una volta o per tutta la vita. Straordinaria e insolita dimostrazione di potere e di libertà concessi alle donne.
L’intervista prosegue e il pubblico interviene con delle domande:
“Dei Tuaregh si narra siano principi dal sangue e dall’abbigliamento blu che cavalcano bianchi cavalli, quanto c’è di vero?” Tommaso Ravà sorride e risponde: “Quasi nulla. Intanto sono pastori e vivono di ciò che producono. Il blu dei loro abiti viene ricavato da un colore vegetale che spesso tinge anche la loro pelle permanendo per lungo tempo. Cavalcano solo dromedari bianchi. Certamente sono una bella razza e i loro modi gentili e garbati risvegliano in noi la fiabesca figura del “Principe””.
“Di tutti questi anni vissuti tra Sahara e Italia cosa ti è rimasto dentro di positivo e cosa di negativo?”
“Quello che mi porto sempre dentro quando rientro dal Sahara è la profonda umanità, generosità e dolcezza di quella  gente. Se una famiglia viene colpita dalla malattia o dalla morte, automaticamente la famiglia di un parente si farà carico dei bambini o degli anziani in maniera tacita e senza nessuna pratica burocratica da svolgere. Tutto è naturale e semplice, tutto parte dal cuore.
Questo è quello che mi manca quando torno in Italia. Invece quando vivevo nel Sahara, da bambino, mi mancavano i miei parenti, la vita di città  e il pane con la nutella che mi preparava la mia nonna. E certamente la cosa più bella è il mio lavoro che è frutto proprio di questi anni che ho vissuto lì e che mi hanno permesso di avere una conoscenza dei luoghi, della lingua e delle usanze non comune.”
“Tu oggi sei padre, faresti ripetere la tua esperienza ai tuoi figli?”
“Non credo. Li ho già portati nel Sahara ma non li farei vivere lì. I ragazzi devono viaggiare e conoscere ma devono anche avere delle radici, il concetto di stabilità.”
Guardando Tommaso  circondato da tanta gente che si complimentava per il suo lavoro e per tutte le straordinarie esperienze che ha voluto condividere con noi, mi è apparsa alla mente l’immagine del Piccolo Principe che vaga nel deserto e ascolta le parole di una piccola volpe saggia: “Ricorda sempre che l’ Essenziale è invisibile agli occhi. Occorre guardare con il cuore”. Una carovana di nomadi, poche cose solo utili e non necessariamente belle, il cielo stellato sopra la testa per riconciliarsi con la notte buia e tante mani unite per non sentirsi mai soli. Forse il “Mal d’Africa” è soprattutto il bisogno di ritrovare una dimensione umana perduta.